ADIEU AU LANGAGE #01
ADIEU AU LANGAGE #01: Contesto fisico vs Contesto virtuale
Dottorando, Dipartimento di Architettura, Roma Tre
Questa è la storia di un duello, tra un vinto e un vincitore. Di un libro scritto e di centinaia che si possono immaginare. E’ la storia di due contesti, complementari e in contrasto tra loro; quello fisico, dove risiede la sensibilità della materia e quello virtuale, dove si immagazzinano infinite immagini e riproduzioni.
André Malraux – Opera Comparata
Passeggiava tra le sue fotografie André Malraux. Calpestandole. Camminava nell’ampio salone della sua dimora ad Avenue Victor Hugo, nel Quartier des Princes a Boulogne-sur-Seine; finestre chiuse e tende aperte. Poteva accostare, su quel pavimento, a pochi centimetri di distanza un Rembrandt a un Michelangelo, una statua egizia ad una greca, Velázquez a Picasso, senza il disturbo di dover viaggiare chilometri, spostare oggetti, visitare musei. Il suo museo era lì, disteso ai suoi piedi sotto le suole delle sue scarpe; un Musée Imaginaire, come scrisse nel titolo del libretto portato alle stampe sul finire del 1947.
Baudelaire non l’avrebbe potuto fare, Verlaine nemmeno. Sorrideva Malraux a quel pensiero; non erano tempi lontani quelli in cui un parigino interessato all’arte poteva vedere solamente le opere esposte al Musée du Louvre. Tutto il resto era distante, sconosciuto e costoso; lunghi viaggi, carrozze, pioggia e spostamenti. Da quei giorni anni erano passati e l’evoluzione dell’editoria aveva permesso di stampare, già nel periodo del dopoguerra, delle ottime riproduzioni in bianco e nero, perfezionando la tecnica dell’offset piano.
Girare pagina. Fu questo semplicissimo gesto che cambiò in maniera irreversibile la relazione tra il destinatario e l’oggetto rappresentato: il contesto dell’opera perdeva i suoi confini materiali, passando da quello fisico del museo, fruibile da un numero limitato di persone, a quello virtuale delle immagini, accessibile ad una platea enormemente più vasta. Pur risentendo delle recenti teorie Benjaminiane, il libro di Malraux evidenzia le proprietà positive della riproduzione dell’opera d’arte e anticipa di cinquant’anni quel meccanismo che troverà compimento solo all’avvento e alla diffusione di Internet. Il Musée Imaginaire, difatti, se pur capace di contenere tra le sue pagine un’intera galleria virtuale, possiede delle caratteristiche che lo legano indissolubilmente al secolo passato: è un’opera conclusa. Tutte le stampe raccolte sono selezionate, numerate e rilegate. Il passaggio da una fotografia all’altra è guidato dall’autore, la prospettiva con cui sono presentate le opere è accuratamente scelta; la fruizione delle immagini è dettata da una comunicazione verticale; nulla a che vedere con la libertà di comparazione che oggigiorno ci permette il web.
Se dal saggio di Benjamin [1] in poi si è largamente discusso su quanto la fotografia abbia influenzato il mondo delle arti, si è limitatamente analizzato come questo passaggio abbia condizionato la cultura architettonica, in particolare negli anni successivi alla rivoluzione digitale. L’ampliamento del contesto, da fisico a virtuale, ha visto l’alterazione di alcune proprietà intimamente connesse all’estetica dell’edificio, tra queste il linguaggio, legato più direttamente allo stile, e la percezione, associata alle relazioni sensoriali che intercorrono tra il manufatto architettonico e il suo fruitore. Il principio di questi mutamenti non è facilmente databile ed è possibile ritrovarlo in diverse opere anteriori all’avvento della fotografia; tra queste vi proponiamo un testo che anticipa le contraddizioni e le problematiche presentate nella nostra riflessione:
Piranesi – Diverse maniere
Sera d’inverno del 1769 tra l’odore di cera ed acido nitrico, sulla Strada Felice, a due passi da Trinità dei Monti, il veneto Giambattista Piranesi portava in stampa le incisioni di un testo oggi quasi dimenticato, forse a causa del titolo apparentemente ironico e certamente troppo lungo per essere ricordato:Oltre a rivendicare una parziale indipendenza dell’architettura romana rispetto alla greca, il libro risulta essere un elegante pastiche semantico che tende a far dialogare distanti stili architettonici, anticipando quell’eclettismo che avrà pieno compimento nel secolo successivo. Un’architettura di citazioni e di frammenti, di singolare complessità che ritrova equilibrio nell’aggiunta, nell’eccesso, nella sovrabbondanza. Un elegante horror vacui, caos romano e romanesco, specchio di una città imperiale che rivendicava con forza la propria centralità culturale rispetto ai neoclassicismi filelleni settecenteschi. Grazie alle evoluzioni ed al perfezionamento tecnico dell’incisione, si videro in questi anni moltiplicarsi per l’Europa stampe ed immagini in quantità sempre maggiore, agevolando la diffusione delle architetture ed alimentando moderni dibattiti.Si può ritrovare nello sviluppo delle tecniche di riproduzione e stampa, a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, il seme della rivoluzione culturale che avverrà pochi decenni più tardi con l’avvento della fotografia. Acqueforti dapprima e fotografie poi, divennero per economia e facile scambio il veicolo principale della comunicazione delle immagini, inaugurando un nuovo rapporto di relazioni tra l’edificio ed il contesto architettonico: tanto le costruzioni di nuova realizzazione, quanto quelle più antiche, videro accostarsi al tradizionale contesto fisico, determinato dal manufatto stesso e dagli edifici adiacenti, un contesto virtuale, composto dalla somma e dalla diffusione delle riproduzioni dell’edificio.
Ad un’architettura di pietre e mattoni si andò ad affiancare un’architettura illustrata, proiettando ciascun fabbricato in un ambiente distante da quello propriamente materiale. Ogni costruzione aveva l’opportunità di essere comparata ed affiancata a paesaggi lontani; il contesto di un’opera cessava di essere circoscritto ai profumi, alle luci e ai suoni della città nella quale sorgeva e, ampliandosi a dismisura, entrava in contatto con culture differenti, modificando le proprietà che da sempre lo avevano caratterizzato. Non fu dunque un processo di de-contestualizzazione, quanto, al contrario, un ampliamento esponenziale del contesto che impose a ciascun edificio di tessere nuove relazioni, obbligandolo a dialogare con linguaggi e realtà estetiche eterogenee. L’influenza del contesto virtuale e il relativo depauperamento delle relazioni tra forma e territorio è sintetizzato dal titolo polemico del saggio scritto nel 1828 da Heinrich Hübsch, In quale stile dobbiamo costruire – In welchem Style sollen wir bauen? nel quale veniva esplicitata l’esigenza di misurarsi con un linguaggio consono al proprio periodo storico, inaugurando un dibattito oggi ancora inconcluso.
Addio al linguaggio
Ultimo passaggio, un film, Jean-Luc Godard, Addio al linguaggio. Un cane parla, una coppia litiga, un’atmosfera sospesa, tanto che il soggetto principale del film risulta essere principalmente uno, l’incomunicabilità: l’esasperante difficoltà di comunicare in un mondo dove tutto sembra appartenere alla sfera della comunicazione. Adieu au Langage appare il titolo prossimo a quel contesto virtuale che quotidianamente viviamo e contribuiamo a produrre. L’avvento della comunicazione di massa, la produzione digitale e la facilità di condividere una rilevante quantità di immagini, ha portato a compimento quel processo iniziato con le incisioni e maturato con l’avvento dalla fotografia. Il contesto virtuale ha visto incrementare a dismisura la sua importanza, sottraendo terreno al tradizionale contesto fisico e generando cambiamenti sostanziali nella cultura architettonica contemporanea.
Se nel contesto fisico la comunicazione dell’edificio era legata all’utilizzo di materiali capaci di sopravvivere al passare dei secoli, favorendo in tal modo la possibilità di essere visitato e conosciuto da una quantità estesa di persone; nel contesto virtuale sembra acquisire maggior importanza comunicare l’edificio non ai posteri ma ai propri contemporanei, delegando non più alla materia, ma alla rappresentazione della sua immagine, la possibilità di essere tramandata nei secoli a venire.
La capacità di costruire forme complesse e l’occasione di comunicarle velocemente su scala globale, ha dato l’opportunità a ciascun architetto di affrancarsi da un linguaggio territoriale e di codificare un proprio stilema di riconoscimento, perfettamente coerente con le logiche speculative del contesto virtuale; tale condizione ha esercitato nell’architettura quel processo di autografia già compiuto e portato alla maturazione nel campo della pittura e della scultura, riavvicinando due mondi che per secoli avevano vissuto di reciproche influenze. Venendo meno il legame territoriale, si è lasciato sconfinato spazio alla creatività di ciascun architetto: ogni edificio sembra oggi poter essere eccezione a una regola dimenticata, ogni progettista appare invitato a formulare a piacimento un personale linguaggio.
Adieu au Langage dunque, epitaffio sintetico di una rinnovata torre di babele, dove l’affascinante libertà del contesto virtuale si pietrifica nello sprawl urbano delle recenti periferie. A mancare non sono certo ottime singole architetture, ma una riflessione sulla struttura della città, la percezione dello spazio e la necessaria coesione tra edificio e paesaggio urbano; mancano oggi alle nostre città quei confini, prospettive e considerazioni che facevano del libro di Malraux un contenitore capace di coniugare contesto fisico e contesto virtuale, uno spazio di dialogo che non costituiva semplicemente una somma di immagini, ma un intero museo immaginario.
Parigi, Gennaio 2016
Note
[1] Si fa riferimento al testo di Benjamin: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1936.
Bibliografia
Benjamin W. 1966, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino
Hübsch H. 1928, In welchem Style sollen wir bauen? Karlsruhe
Malraux A. 1947, Musée Imaginaire, Albert Skira Editeur, Genève
Piranesi G. 1769, Diverse Maniere d’adornare i Camini, Stamperia di Generoso Salomoni, Roma
Immagini
[Immagine Copertina] e [Immagine A] : André Malraux chez lui, 1953. Malraux fotografato da Maurice Jarnoux mentre esamina le fotografie per la preparazione del secondo volume del Musée Imaginaire.
[Immagine B] : Diverse Maniere d’adornare i Camini, 1769. Giambattista Piranesi