PAESAGGIO E NAZISMO – I parte

PAESAGGIO E NAZISMO – I parte

di Marco Romano

Nel 1648 il trattato di Vestfalia, chiudendo la guerra dei Trent’anni, aveva fatto ricorso al principio cuius regio ejus religio, e se la consistenza territoriale degli Stati   cui il principio trovava il proprio campo di applicazione era nota e consolidata – dall’Inghilterra alla Francia, dalla Spagna all’Olanda, dall’Impero alle Repubbliche di Genova di Venezia o di Strasburgo, alla stessa Svizzera – era chiaro che l’insieme delle trecento città della Germania non costituivano nell’insieme uno Stato con una propria riconoscibilità nella sfera politica, seppure nel loro insieme costituissero una riconosciuta regione protestante.

Ciascuno di questi Stati era poi una giurisdizione legittimata dall’esistenza di un sovrano che ne era titolare, e quando Luigi XIV sosteneva che la France c’est moi non intendeva sottolineare il suo potere assoluto – ne aveva assai meno di quanto raccontino le leggende, il parlamento di Parigi lì a cassare le decisioni meno gradite, compresi gli espropri di due casette per ampliare il Louvre – ma soltanto che la Francia esisteva in quanto esisteva un sovrano che era titolare della sua giurisdizione, così come la Spagna esisterà in quanto giurisdizione creata dal matrimonio di Isabella e Ferdinando e diventata davvero tale quando la sua intera titolarità passerà al nipote, Carlo V, mentre la Grecia liberata dagli ottomani diventerà uno Stato europeo quando ai greci verrà verrà inviato un sovrano, Ottone di Wittelsbach.

Che dietro allo Stato esistesse una Nazione, un riconoscibile popolo, nessuno lo immaginava davvero, semmai circolavano stereotipi letterari sul carattere degli italiani, dei francesi, degli spagnoli, degli inglesi e quant’altro, stereotipi ricorrenti ancora fino a qualche tempo fa, dissolti dalla promiscuità europea ma di quando in quando riemergenti.

Ma se il trattato di Vestfalia metteva in campo la nozione che esistessero Stati, saranno nel corso del Settecento gli illuministi francesi a sostenere da un lato l’esistenza di principi universali dell’umanità – quelli che saranno i diritti dell’uomo – e dall’altro che gli Stati fossero legittimati non tanto dal principio dinastico del sovrano ma dalla loro esistenza di popolo con una propria volontà, alla maniera dei cittadini di una città con le loro assemblee: come in quali caratteri fosse poi riconoscibile la sua personalità, Montesquieu e Rousseau non sapevano bene.

In questo contesto i tedeschi cominceranno a domandarsi “chi siamo?”, come è riconoscibile la Germania?

Nel clima universalistico dell’illuminismo settecentesco una strada era quella di aderire al suo programma, entro il quale ciascun paese avrebbe poi manifestato una sua riconoscibile specificità: così Federico II traccerà, seguendo i suggerimenti dell’ Algarotti, quella nuova Berlino che avrà poi la veste neoclassica di Karl Friedrich Schinkel, mentre Monaco di Baviera diventerà a sua volta nei primi decenni dell’Ottocento una città che raccoglieva l’eredità del Rinascimento italiano sullo sfondo dell’architettura neoclassica di Leo von Klenze.

Solo che fin dalla seconda metà del Settecento quello stesso programma universalistico degli illuministi era parso la manifestazione dell’egemonia della cultura francese su una Germania che non sembrava averne una sua propria e dunque in terra germanica verrà vivacemente contestato, contrapponendo ai salotti parigini e alle raffinatezze urbane la solidità della tradizione del paese.

Sarò soprattutto Johann Gottfried Herder a sostenere che la natura umana non è oggi affatto comune a tutti ma ogni popolo ha assunto un proprio specifico carattere, che dipende dal suo ambiente naturale – che ne ha determinato la razza – e dalla propria storia.

Questo carattere morale è riconoscibile nella specificità di una lingua nazionale, espressione della stessa “maniera di pensare” di un popolo, alla nostra lingua materna “ci lega un accordo dei nostri organi più fini e delle attitudini più delicate e ad esse dobbiamo restare fedeli”, ma anche i suoi caratteri fisici sono permanenti e durano millenni senza mescolanze straniere “se rimane attaccata al suo suolo come una pianta”; ogni nazione è un mondo a sé, con i suoi valori, con il suo modo di pensare, con un suo processo naturale di costumi e di idee, di spirito e di moralità, che non deve venire alterato dalle pretese universalistiche degli illuministi: ogni nazione costituisce quindi un quid a se stante, chiuso in sé, impenetrabile dagli altri, e uno Stato deve poggiare sulle sue basi naturali, accordare le sue leggi alle leggi naturali del suo popolo e non imitare le leggi altrui.

Le nazioni appaiono ora come delle possenti specificità naturali, dotate di propria anima, che nascono si sviluppano decadono, e la storia dell’umanità è la storia di un unico sviluppo continuo attraverso cui, da nazione a nazione, ciascuna succedendo alle altre nel reggere la fiaccola del’umana civiltà, nell’additare le vie nuove, “arte, scienza, cultura e lingua si sono affinate in una grande progressionela generazione nazionale resta la stessa per millenni se non ha mescolanze estranee e opera con più forza se rimane avvinta alla sua terra come una pianta” e la superiorità della Germania sta nel fatto di essere la sola in Europa con una lingua comune che viene parlata in tutto il suo territorio.

E dunque, per esempio, non possiamo stabilire le regole della perfetta bellezza delle città – come quelle suggerite da Marc-Antoine Laugier e da Louis-Sébastien Mercier – perché anche ogni città è un particolare e specifico universo simbolico con un proprio linguaggio formale, e allo stesso modo non possiamo stabilire regole universali per la sfera politica delle nazioni perché anche le nazioni hanno caratteristiche proprie, derivanti dalla loro generazione.

Fatto era che il delinearsi dell’idea di nazione era sì radicato nel principio illuminista di una democrazia fondata sulla volontà nazionale ma comportava anche l’esistenza di una nazione riconoscibile come un corpo olistico quasi mistico, e le procedure del nuovo programma politico la comportavano in se stesse ma non la creavano, la davano per scontata: e questo riconoscimento per il movimento romantico era invece tutto da accertare, dal momento che il carattere specifico di ciascuna – quel carattere che la rendeva un soggetto politico con una propria volontà – era annebbiato da quello stesso principio universalistico dell’illuminismo.

Su questo solco Frederic Schlegel sottolineerà che Quanto più puro e antico è il ceppo, tanto più lo sono i costumi, e quanto più lo sono i costumi, quanto maggiore e più vero è l’attaccamento ad essi tanto più grande sarà la nazione: il popolo tedesco comincia così’ a considerarsi il solo popolo puro, e si paragona all’antico popolo greco e, come questo, destinato a diventare il vero popolo rappresentativo dell’umanità: ma per assolvere a questa missione di rigenerazione dell’umanità dovrà essere diviso in caste, una casta di nobili che ne costituiranno la guida.

Questa visione mistica delle glorie nazionali, di quegli spiriti nobili dei quali dovremo seguire le orme per riscattare la nostra patria, era in quel torno di tempo del resto comune sulla traccia di quelle abbazie dove venivano seppelliti i sovrani, Saint-Denis a Parigi o a Superga e a Hautecombe.   Ma in Inghilterra l’abbazia di Westminster diverrà anche il mausoleo delle glorie nazionali come secondo Ugo Foscolo era già Santa Croce a Firenze e come con molte difficoltà sarò il Pantheon a Parigi: e proprio in quegli anni, seguiti alla sconfitta di Jena, Ludwig vorrà erigere a Monaco il Walhalla delle glorie tedesche – con la palese intenzione di anticipare la Prussia – alto e solenne sulla spianata che diventerà presto il sito privilegiato della birra bavarese nell’Oktoberfest.1

E ancora, per Frederic Schiller “Gli altri popoli sono stati il fiore cadùco, il popolo tedesco sarà il durevole frutto dorato. Gli inglesi sono avidi di tesori, i francesi di splendori, ai tedeschi spetta in sorte il destino più alto: vivere a contatto con lo spirito del mondo. Ogni popolo ha la sua giornata nella storia; la giornata dei tedeschi sarà la messe di tutte le età“.

Così il pensiero tedesco tenderà, sempre maggiormente, a radicare la nazione nei fattori esteriori, lingua razza e territorio.

Sul solco del prender piede di questo pensiero romantico, serpeggiava del resto l’idea di rintracciarne l’origine in un passato metastorico, intorno al 1760 con i Canti di Ossian pubblicati da Machperson come testimonianza di una cultura scozzese antecedente a quella sassone mentre in Germania, in quei medesimi anni, Klopstock pubblicava tre drammi epici scritti in uno stile volutamente arcaico, quello degli antichi dialetti germanici, e in Italia Costantino Nigra e Giuseppe Pitré raccoglieranno a loro volta la poesia popolare del Piemonte e della Sicilia.

Per gli inglesi la ricerca delle proprie origini prima del 1066 era dopotutto soltanto una declinazione di quel romanticismo messo di moda proprio da Herder, ma la consapevolezza della propria identità di inglesi i suoi cittadini l’avevano conquistata ormai da secoli, nella guerra dei cent’anni, nella sconfitta dell’Invincible Armada, nel confronto con gli olandesi, sicché l’onda del revival gotico sul finire del secolo, la credenza che l’architettura gotica avesse avuto origine in Inghilterra e il palazzo del Parlamento – il cuore dell’Inghilterra – dovesse venire progettato in quello stile era appunto una reversibile declinazione del romanticismo, sicché Benjamin Disraeli potrà in seguito ricorrere per gli edifici dei suoi ministeri, nella seconda metà dell’Ottocento, allo stile neo palladiano dei giovani americani e Lutyens progetterà New Delhi, negli anni Venti del Novecento, nel medesimo stile rinascimentale evocato da Ludwig a Monaco.

Allo stesso modo i francesi avevano la consapevolezza di costituire una nazione non tanto nel culto di Vercingetorige ma nella loro vicenda moderna, dalla vittoria nella guerra dei cent’anni al ruolo europeo della monarchia, e se poi non avevano ancora una lingua comune potevano comunque vantare una riconoscibile architettura medievale che Viollet-le-Duc codificherà, e su questa salda consapevolezza potranno adottare stili architettonici d’invenzione come quello detto del secondo impero, l’Opera di Garnier: e in ogni caso, quando nel 1861 la Savoia passerà alla Francia, il nuovo palazzo municipale di Chambéry verrà progettato in quello che Versailles codificava come lo stile nazionale.2

Quanto alla Fiandre, gli olandesi vantavano una salda consapevolezza della propria realtà comunale fin dal 1302, dalla battaglia di Courtrai, e nel Seicento da una prosperità affidata alla Compagnia delle Indie e dalla riconoscibilità di una salda tradizione figurativa iniziata con la tecnica della pittura ad olio ai tempi di van Eyck e di una letteratura politica centrata sulla figura di Erasmo, sicché potranno mostrarsi nell’Ottocento liberi da ogni tradizione architettonica e dare avvio a Bruxelles all’art nouveau.   

 E l’Italia sarà divisa in stati più piccoli ma ciascuno a sua volta con una propria riconoscibilità nella sfera politica europea radicata fin dai primi secoli del Mille, mentre la coscienza nazionale era testimoniata a sua volta da una letteratura comune che risaliva a Dante e dalla testimonianza di libertà dei suoi comuni, una nazione in Europa riconoscibilissima – seppure anch’essa sostanzialmente priva di una lingua comune – ma dopotutto patria  del Rinascimento e dei suoi riconosciuti prodigi architettonici.

Ma una simile consapevolezza radicata nella sua storia la Germania non la possedeva, e quando la pretesa universalistica degli illuministi nel 1789 prenderà corpo nel principio che non esistano stati ma soltanto nazioni – che non ci siano sovrani ma assemblee nazionali – e quando poi Napoleone vorrà diffonderla con le armi seminandola nei popoli con le sue guerre, i tedeschi rivendicheranno la propria riconoscibilità nel contesto delle nascenti nazioni proprio nei termini suggeriti da Herder, ma con un venatura sciovinista che sembra precorrere – nei     Discorsi alla nazione tedesca scritti da Johann Gottlieb Fichte dopo la sconfitta di Jena e l’occupazione napoleonica della Prussia nel 1806 – lo stesso nazionalsocialismo. Fichte sosterrà che il popolo tedesco sia stato scelto da Dio per rigenerare spiritualmente il mondo: di fronte alla decadenza fisica e morale dei popoli neolatini – allo stato delle cose soprattutto la Francia – il tedesco è l’unico popolo che abbia conservato l’integrità e la purezza della sua stirpe e della sua lingua e, nonostante il suo frazionamento politico, anche del suo suolo: è l’Urvolk, destinato ad essere la nazione-guida dell’Europa intera, prefigurando e legittimano quella che sarà la missione di Hitler.

L’amor patrio che regge lo Stato deve farvi prevalere un fine superiore a quello volgare del mantenimento della pace interna, della proprietà, della libertà personale, della vita e del benessere di tutti: soltanto per questo fine superiore e non per altro, lo Stato mette assieme una forza armata. Quando si comincia a parlare dell’uso di questa, quando è permesso arrischiare tutti i fini dello Stato astrattamente inteso, cioè proprietà, libertà personale, vita, benessere e perfino l’esistenza dello Stato stesso, senza aver un’idea chiara se sarà possibile raggiungere con certezza la meta (ciò che non è possibile in cose di simile genere, che sono primitive e Iddio solo ne può rispondere) allora si può dire che al governo dello Stato vive una vita veramente originale e prima. A questo punto cominciano i veri diritti di maestà del governo per cui esso può arrischiare, simile a Dio, la vita inferiore in nome di una finalità di ordine morale superiore. 

Ma se la nozione di una lingua comune del popolo tedesco, se la nozione stessa di un popolo tedesco unito da un legame di sangue sembrano in se stesse evidenti, rimarrà da capire in che cosa consista il carattere particolare del suolo tedesco, diviso allora in trecento città, di fatto – eccettuate qualche repubblica come Strasburgo – sovraordinate spesso da un principe-vescovo di nomina imperiale come Trento: ma, insomma, al momento della fondazione della Germania nel 1871 la costituiranno trentanove principati, compresi i due maggiori della Prussia e della Baviera.

(…) continua nell’articolo pubblicato il 15 marzo 2016