I nuovi confini della città
Workshop limiti urbani
Facoltà di Architettura di Ferrara 25-28 novembre 2015
di Maria Pone
Dottoranda, Dipartimento di Architettura, Roma Tre
Nel mondo contemporaneo il concetto di limite urbano deve essere rimesso seriamente in discussione. I confini delle città oggi sono sbiaditi, le frontiere sono zone di opacità, sempre mobili, indefinite[1]: il concetto stesso di città, come organismo concluso, è messo continuamente in discussione tanto da poter arrivare a dire che le città non esistono, esistono solo delle diverse forme di vita urbana.
Questo può voler dire che le separazioni fisiche, sociali, culturali, che hanno storicamente separato l’urbano dal non-urbano, sembrano essersi spostate e che non si trovino più sul “bordo” della città, ma al suo interno.
Uno di questi limiti è quello che divide la città formale dalla città informale. Ma come si individua questo confine? Ha ancora senso tentare di costruire una lettura dei tanto complessi fenomeni urbani che parta da questa prospettiva di dualità così netta e chiara?
Questi e altri i temi sollevati durante questa intensa quattro giorni tenutasi nelle aule della facoltà di Architettura di Ferrara in novembre.
L’evento è stato organizzato da un’associazione attiva nella facoltà (UNIVERSUD), che, in collaborazione con docenti ed esperti, promuove attività didattiche nell’ateneo.
Il workshop si divideva in due parti: una teorica che comprendeva conferenze e dibattiti, con ospiti di diversa provenienza[2], e una laboratoriale che proponeva due esperienze. La prima aveva come tema un progetto per l’UNAM[3]; la seconda si incentrava sul Barrio San Jorge, uno dei primi nuclei informali sviluppatisi attorno al centro della città di Posadas, capitale della provincia di Misiones, in Argentina.
Spinaceto 2010, foto di Luigi Porzia
Nel laboratorio su Città del Messico al centro dell’indagine c’era il limite che separa la città universitaria dal suo contesto fatto di favelas, di zone ricche di nuova espansione, di pezzi di città consolidata, con l’obiettivo di ipotizzare un intervento di riconnessione che fosse da un lato rispettoso delle specificità dei vari punti di collegamento e dall’altro unitario. Il lavoro ha aperto (senza chiudere) una riflessione sul “muro” come elemento architettonico che offre varie possibili interpretazioni ed usi e che può diventare anche luogo di “contatto” e non solo strumento di separazione.
Il laboratorio su Posadas, curato da Architetti Senza Frontiere Veneto, aveva come obiettivo la redazione di un progetto di cooperazione internazionale. Tentando di infilarsi in una realtà complicatissima da comprendere, i partecipanti hanno ipotizzato costituzioni di cooperative, progetti di educazione alimentare, sviluppo di attività agricole e produzione di compost, con gli strumenti tipici di un progetto di cooperazione, dallo studio delle risorse all’analisi SWOT.
Anche qui, però, il risultato più affascinante è stato l’apertura di nuove prospettive sulla questione dell’”assistenza”, portando alla luce interrogativi sulla natura degli interventi che il “ricco occidente” tende ad attuare nei luoghi cosiddetti “in difficoltà”, che rischiano di creare più danni che miglioramenti.
I temi sviluppati nei laboratori hanno avuto origine nelle lunghe e fruttuose ore di discussione con i vari ospiti: sociologi, architetti, urbanisti, studenti. Sguardi molto differenti che hanno contribuito a un risultato comune: la messa in discussione di alcune certezze e logiche “deterministe” che non riescono a stare al passo con la complessità del mondo urbano contemporaneo. Comprese le categorie di formale e informale, che sono entrambe descrizione di meccanismi generativi della città e seguono le richieste del mercato.
Dal progetto per l’upgrade di Novos Alagados[4], al concetto di “architettura critica”, dalla nuova idea di limite nell’epoca della globalizzazione al concetto di antropocene fino al totale ribaltamento dell’ottica secondo la quale la città informale è “il problema urbano” da risolvere: “la favelas non è il problema, è la soluzione” ripete Marcello Balbo; Il problema è che nel 2007, per la prima volta nella storia, la popolazione urbana ha superato in numero quella che vive fuori dalle città[5], che le megalopoli del Mondo arrivano a crescere di 700.000 persone in un anno e che ormai questo fenomeno non è più attribuibile solo alla migrazione dalla campagna alla città: la crescita demografica urbana è già prevalentemente naturale.
Ma il principale quesito che è emerso indagando il rapporto tra formale e informale è: in questa nuova ottica, qual è il ruolo dell’architettura? Se è vera la tesi foucaultiana secondo cui lo spazio è fondamentale in ogni relazione di potere, una sola cosa è certa: l’architettura, il progetto, il piano, non sono mai neutrali. Resta spalancata la riflessione sulla responsabilità degli architetti e degli urbanisti, sulle loro possibilità di agire in maniera “critica” e di saper convivere con l’esistenza di processi ingovernabili che sfuggono a qualsiasi logica di pianificazione.
La realtà urbana non è e non può essere più pensata né come quella modernista in cui tutte le forme di vita sono determinate dalla rigida morfologia dello spazio e dalla impositiva direzione dei flussi, né come un’infinita brulicante estensione di piccole produzioni autonome.
La realtà urbana è sempre co-prodotta. Formale e informale.
Dove si trova il progetto in questa co-produzione?
[1] Zanini P. 1997, Significati del confine, I limiti naturali, storici, mentali, Bruno Mondadori, Milano.
[2] Hanno partecipato: Alfredo Alietti e Romeo Farinella, Università di Ferrara; Benedetta Fontana, ISPI; Mariana De Souza Rolim, Mackanzie University; Marcello Balbo, IUAV; Camillo Boano, the Bartlett DPU.
[3] Università Nazionale Autonoma del Messico.
[4] Novos Alagados è una delle 357 favelas di Salvador de Bahia, parte dell’agglomerato di 10 favelas che occupano la Ribeira Azul, la cui carattteristica è quella di essere composta da 3500 palafitte.
[5]Fonti UN: World Urbanization Prospects 2014 Revision, http://esa.un.org/unpd/wup/highlights/wup2014-highlights.pdf