ADIEU AU LANGAGE #04
ADIEU AU LANGAGE #04: ARCHITETTURA E NEUROESTETICA
Frank Gehry ed il grado zero dell’esperienza
Dottorando, Dipartimento di Architettura, Roma Tre
I Neuroni specchio
1991, Università di Parma. Un gruppo di scienziati formato da Giacomo Rizzolatti, Vittorio Gallese, Luciano Fadiga e Leonardo Fogassi, nell’esaminare il comportamento cerebrale di alcune scimmie, s’imbatté in una scoperta che avrà grande risonanza nel panorama scientifico internazionale. Nel prendere in mano gli oggetti da passare alle scimmie, gli scienziati si accorsero che alcuni gruppi di neuroni nel cervello dei macachi si attivavano sia quando gli animali manipolavano direttamente gli oggetti, sia quando guardavano gli scienziati compiere la stessa azione. Grazie a questo fortuito esperimento si comprese che uno specifico gruppo di neuroni si attivava allo stesso modo sia quando l’azione era semplicemente vista, sia quando l’azione era compiuta in prima persona. Questi neuroni furono chiamati neuroni specchio. Studi successivi provarono la presenza dei neuroni specchio anche nell’uomo:
“Con i nostri circuiti neuronali – scrive Harry F. Mallgrave – simuliamo le azioni altrui nelle stesse aree del cervello di cui ci serviamo per compiere le nostre azioni, e spesso lo facciamo in maniera inconsapevole o precognitiva. I dettagli rendono il principio interessante. Se si guarda qualcuno battere con un martello, i circuiti neuronali delle cortecce parietali e premotorie si attivano come se si stesse battendo con il martello, anche se la porzione della corteccia motoria che effettivamente muove la mano e il braccio non è attiva. Questi stessi circuiti si attivano anche quando semplicemente si sente qualcuno usare il martello, il che significa che tale capacità empatica non è semplicemente un atto d’imitazione visiva […]. I Neuroni a specchio sembrano dunque, in senso più generale, definire fenomenologicamente il nostro rapporto empatico con il mondo” [1].
Gli studi citati da Mallgrave sono oggi classificati come Teoria dell’empatia, anche se Vittorio Gallese, uno degli scienziati protagonisti dei primi esperimenti sui neuroni specchio all’Università di Parma, preferisce utilizzare il termine Simulazione incarnata (Embodied simulation), ritenendo questa scoperta fondamentale nella comprensione dei meccanismi sociali, utile a comprendere “come ci identifichiamo e rapportiamo socialmente con gli altri, come possiamo arrivare ad avere consapevolezza spaziale e come abbiamo sviluppato il linguaggio” [2].
Del resto non è da molti anni che i neuroscienziati hanno cominciato ad indagare il campo delle arti, Semir Zeki, docente di Neurobiologia all’Università di Londra è stato tra i pionieri degli studi sul cervello visivo. Zeki nel testo La visione dall’interno afferma che “tutte le arti visive sono espressione del nostro cervello e quindi devono obbedire alle sue leggi, nell’ideazione, nell’esecuzione o nella valutazione, e nessuna teoria estetica che non si basi in modo sostanziale sull’attività del cervello potrà mai essere completa, né profonda” [3]. A sostegno di questa tesi Zeki ha presentato i lavori di diversi artisti che, consapevolmente o meno, avevano intuito alcune specifiche funzioni neuronali che solo oggi, grazie alle moderne apparecchiature come la Risonanza magnetica funzionale, siamo in grado di spiegare in maniera scientifica.
Le Azioni Potenziali
Successivi studi, condotti a seguito dell’identificazione dei neuroni specchio, hanno scoperto che questo meccanismo non si limita alla sfera sociale, ma che il sistema empatico si attiva anche quando osserviamo degli oggetti inanimati che accidentalmente si sfiorano, si appoggiano, si toccano l’uno con l’altro [4], introducendo un tema caro alla gestione dei materiali e alla percezione dello spazio architettonico. Questa scoperta ha aperto nuovi orizzonti di indagine nel mondo dell’arte e dell’architettura portando ad una parziale riscrittura delle canoniche teorie estetiche: “nel percepire un’opera d’arte o nell’abitare un ambiente costruito, simuliamo le forme ed i materiali con i nostri corpi; in un certo senso, empatizziamo con essi fisiologicamente ed emotivamente, e solo in un secondo momento ci formiamo una compiuta consapevolezza del nostro piacere o meno per quello di cui abbiamo fatto esperienza” [5].
Con queste parole Mallgrave rileva come ad una prima percezione empatica dello spazio, dovuta ad una ricezione fisica-neuronale di un’azione, di un’architettura o di un’opera che ci si pone davanti, segue la formulazione del giudizio di gusto. Nel vedere una persona che accidentalmente martella il proprio dito mentre prova a fissare un chiodo sul muro, proveremo una fisiologica empatia di relazione tra il nostro dito e l’azione che stiamo guardando. Sulla base di questa anticipazione della percezione, dovuta alla simulazione incarnata, si struttura il giudizio che, nello specifico dell’azione vista, potrebbe essere per alcuni divertente, producendo una risata collettiva, per altri spiacevole, dando origine ad un sentimento di tristezza e compassione. Il contesto in cui l’azione è svolta è dunque fondamentale per determinare il giudizio di gusto, che rimane legato anche a specifici fattori culturali, quali l’educazione personale, la società, l’ambiente e l’epoca nella quale viviamo.
Le ricerche esaminate non mirano alla comprensione di un dipinto o di una singola architettura, ma piuttosto analizzano quanto quei livelli di risposta emotiva [6] comuni a qualsiasi persona, siano condizionanti nella ricezione di un’opera e nella conseguente formulazione del giudizio, riducendo notevolmente il gap che si riteneva essere dovuto a differenze culturali. Quest’ultimo tema è estremamente significativo per comprendere la condizione architettonica contemporanea, dove qualsiasi edificio è portato a relazionarsi con gli attuali sistemi di comunicazione di massa, internet in primis. Comprendere quali sono i fattori che sollecitano il nostro sistema neuronale, potendo sorvolare sulle differenze culturali di ciascuno di noi, ci permette di stabilire le condizioni che rendono una determinata architettura condivisibile su scala globale e dunque maggiormente spendibile all’interno di un mercato internazionale che contiene civiltà spesso in conflitto tra loro.
Il Grado zero dell’esperienza
In una società globale, dove tutto viaggia istantaneamente su internet, la principale forma di comunicazione è quella visiva. Un’immagine, a differenza di una parola scritta non ha bisogno di traduzione e può viaggiare con la stessa forza da Parigi a Shangai. L’architettura ha visto così accostarsi al proprio consueto contesto fisico, un contesto virtuale, formato dalla somma di tutte le immagini e rappresentazioni. Gli edifici che hanno avuto maggiore successo sul finire dello scorso secolo, sono stati quelli che hanno saputo sperimentare un nuovo linguaggio, capace di oltrepassare i confini nazionali ed arrivare a culture distanti da quelle d’appartenenza. Un linguaggio dello spazio, sottratto da referenze territoriali e capace di esercitare una profonda stimolazione sensoriale [7].
I recenti esperimenti dei neuroscienziati sulla percezione dello spazio, ci aiutano a comprendere come l’attuale sistema mediatico sia riuscito a mutare fortemente il linguaggio architettonico contemporaneo, costringendolo verso un a-linguaggio o pre-linguaggio, dove la stimolazione dei sensi acquista primaria importanza a scapito degli ornamenti culturali, divenuti subalterni alla logica percettiva dell’edificio.
Il Guggenheim di Bilbao
Christian Hubert, in una conferenza alla School of Architecture, promossa nel 2001 dall’Università di Toronto, affermava che l’architetto “Frank Gehry ci fa compiere esperienza delle qualità emotive dello spazio: ci fa sentire lo spazio attraverso i nostri corpi con una particolare combinazione di tatto e visione […]. Queste esperienze sembrano andare oltre la specificità delle culture nazionali e fanno appello a una comune esperienza psicologica come ad un collante di una cultura globalizzata” [8]. Grazie ai recenti esperimenti compiuti dai neuroscienziati siamo oggi in grado di spiegare con un grado di minore soggettività ciò che Hubert aveva ipotizzato.
Il fenomeno del Guggenheim di Bilbao è spesso rilegato nel dibattito architettonico ad un problema di marketing pubblicitario, connesso ad un confuso concetto di globalizzazione. Dibattito che ha nel tempo creato nette divisioni tra progressisti e conservatori, con atteggiamenti di evidente snobismo degli uni e di esaltazione della cultura di massa degli altri. Se si è lungamente scritto sulla relazione tra il mondo delle arti e le opere di Frank Gehry, si è troppo spesso trascurato l’impatto che ha avuto sul mutamento del linguaggio architettonico, rilegandolo spesso ad un fenomeno di moda passeggera.
Questo articolo ha dunque il compito di chiarire, grazie all’ausilio delle recenti ricerche neuroscientifiche, quali caratteristiche oggettive possiede il Guggenheim di Bilbao, per candidarsi ad essere una delle opere maggiormente rappresentative della nostra epoca. Dall’analisi dei fattori sensibili, risulta essere un’opera fortemente emotiva, incline a stimolare significativamente le capacità empatiche del sistema neuronale: l’innovativa sollecitazione percettiva dello spazio, dovuta alle forme geometriche non ordinarie e alla plasticità dei materiali utilizzati, unita alla possibilità di comunicare istantaneamente le immagini sul web, fanno dell’edificio di Gehry un’architettura pre-linguistica, un’opera emozionale che riesce a coniugare l’essere-spazio all’essere-icona, capace di riconnettere, attraverso il turismo di massa, il contesto virtuale al contesto fisico [9].
Il meccanismo dei neuroni specchio, della simulazione incarnata e le recenti teorie dell’empatia dello spazio mostrano quanto sia importante nella società contemporanea quel livello di risposta emotiva che ciascuna architettura di per sé genera, ma che in poche riescono a condurre ad un piano comunicativo globale; un atteggiamento che, se esteso alla ricerca urbana, rivela un ambito di studio ancora poco esplorato, utile per la comprensione e la gestione della percezione dello spazio nelle metropoli contemporanee [10].
Parigi, Ottobre 2016
Bibliografia
Mallgrave H. F. 2015. L’empatia degli spazi, Architettura e neuroscienze. Raffaello Cortina Editore, Milano
Zeki S. 2003. La visione dall’interno. Bollani Boringhieri, Torino
Note
[1] Mallgrave H. F. 2015. L’empatia degli spazi, Architettura e neuroscienze. Raffaello Cortina Editore, Milano (pag.175)
[2] V. Gallese, C. Keysers, G. Rizzolatti, “A unifying view of the basis of social cognition”, in Trends in Cognitive Sciences, 8, 2004, (pp.386-403);
Gallese, “Mirror neurons, embodied simulation. From neurons to phenomenal experoence”, in Phenomenology and the Cognitive Sciences, 4,2005, (pp.23-28);
Gallese, C. Sinigaglia, “What is so special about embodied simulation?”, in Trends in Cognitive Sciences, 15, 2011, (pp. 512-519);
Mallgrave H. F. 2015. L’empatia degli spazi, Architettura e neuroscienze. Raffaello Cortina Editore, Milano (pag.176)
[3] Zeki S. 2003. La visione dall’interno. Bollani Boringhieri, Torino (pag. 17)
[4] “Sembra che abbiamo la capacità precognitiva di rispecchiare i valori tattili di tutti gli oggetti o le forme nei nostri ambienti, sia viventi sia non, e che questa facoltà sia una delle chiavi del nostro particolare livello di conoscenza e di comprensione del mondo.” Mallgrave H. F. 2015. L’empatia degli spazi, Architettura e neuroscienze. Raffaello Cortina Editore, Milano (pag.177)
[5] Mallgrave H. F. 2015. L’empatia degli spazi, Architettura e neuroscienze. Raffaello Cortina Editore, Milano (pag.177)
[6] Ibidem (pag.199)
[7] Graviglia F. “ADIEU AU LANGAGE #02: Architettura Impressionista”, UrbanisticaTre, Febbraio 2016
[8] C. Hubert, “Inside/Out” conferenza alla School of Architecture, University of Toronto, 8 novembre 2001.
[9] Graviglia F. “ADIEU AU LANGAGE #01: Contesto fisico vs Contesto virtuale”, UrbanisticaTre, Gennaio 2016
[10] “La metropoli è il luogo dove la molteplicità può diventare superaccumulazione, dove la somma delle esperienze e delle impressioni possono anche avere come risultante un’unità apparente, ma che, in realtà, è lo zero dell’esperienza, l’assenza di sedimentazione”. Dall’Olio L. 1997. Arte e architettura: Nuove corrispondenze. Universale di architettura. Testo e immagine, Torino (pag. 34)
Didascalie Immagini
[Immagine Copertina]:
Frank O. Gehry. Walt Disney Concert Hall, Los Angeles, USA.
[Immagine A] :
Richard Serra, The Matter of Time (1994-2015) – Frank O. Gehry. Interno del Guggenheim Museum Bilbao, Spagna.
[Immagine B] :
Frank O. Gehry. Interno del Guggenheim Museum Bilbao, Spagna.