Il gioco di parole
Il gioco di parole
Trademarking, sinonimia e stagionalizzazione del vocabolario urbanistico.
di Simone Rusci
Architetto e dottore di ricerca
Negli ultimi decenni anche l’urbanistica, disciplina notoriamente resistente alle rapide transizioni, ha mostrato notevole sensibilità rispetto alle innovazioni lessicali e alla rapidità con la quale esse sono veicolate dagli – ormai non più nuovi – canali di comunicazione web.
Innovazioni lessicali che sono destinate ad incidere profondamente sulle prassi di pianificazione e soprattutto sulle agende politiche nazionali e locali, e dunque certamente capaci di produrre effetti che vanno ben oltre l’ambito prettamente linguistico.
Questa nuova tendenza all’innovazione lessicale, ben argomentata e resa evidente nella rubrica “lessico” di questa rivista (Esposito, 2016), appare tanto più palese se confrontata con il dibattito urbanistico del secolo scorso, nel quale i temi di discussione (accesissima) hanno ruotato per oltre 50 anni attorno a pochi e definiti centri: gli standard urbanistici, la rendita e l’esproprio, le politiche per casa, la programmazione economica e pochi altri (De Lucia, 1989; Salzano, 1998; Scattoni, 2004)
A partire dal nuovo millennio il vocabolario urbanistico ha subito una profonda innovazione ed una espansione verso ambiti fino ad allora estranei alla disciplina.
Difficile dire se l’urbanistica, divenuta nel frattempo “Governo del Territorio” con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, abbia conquistato o sia stata piuttosto conquistata dai nuovi saperi specialistici, fatto è che il suo vocabolario sì è espanso con la rapidità di un gas. Sostenibilità, resilienza, smart city, sprawl sono solo alcuni dei temi, oggi mainstream, comparsi alle porte del nuovo millennio.
Il merito di questa innovazione è certamente quello di aver mantenuto alcuni importanti temi all’attenzione dell’opinione pubblica e al centro delle agende politiche, mantenendo così anche un ruolo per un’urbanistica che appariva (ed appare) indubbiamente più debole rispetto al passato.
D’altro canto questa “terapia” ha comportato alcune evidenti controindicazioni. La prima è un fenomeno che potremmo definire “tradmarking” ovvero la tendenza di alcuni temi a diventare dei veri e propri “marchi” associabili, più o meno, a qualsiasi politica. Paradigmatico in questo senso è l’uso del termine rigenerazione che ha soppiantato in campo urbano i precedenti recupero, riqualificazione e ristrutturazione, senza tuttavia incidere in profondità rispetto alle metodologie di intervento che, in maniera piuttosto diffusa, sono quasi sempre del tutto analoghe a quelle tradizionali. La rigenerazione è divenuta un marchio capace di attribuire ad ordinari interventi di recupero l’alea dell’innovazione e della sensibilità ambientale, una sorta di “denominazione d’origine controllata” delle politiche urbane.
Sul web il sostantivo rigenerazione è attribuito senza distinzione al “massetto per la rigenerazione urbana” (sic), alla “rigenerazione urbana” di aree alle varie scale dimensionali così come pure a programmi di educazione civica e sociale. Stessa sorte era capitata con leggero anticipo all’aggettivo sostenibile usato ed abusato ben oltre il proprio significato, associandosi a gran parte dei programmi e delle intenzioni politiche degli ultimi 20 anni.
Questa indistinta polisemia, in alcuni casi quasi una pan-semia, ha indubbiamente inflazionato l’iniziale appeal dei termini, erodendone significato ed efficacia. Come dire che per parlare di tutto si finisce con il parlare di niente.
L’altra patologia linguistica, strettamente connessa alla prima è la “sinonimia” ovvero la tendenza ad utilizzare in modo diversificato termini che hanno stesso significato. Emblematico di questo effetto è il ricorso nei dizionari urbanistici a definizioni tautologiche (Mantini, 2013). Riferendoci ancora, a titolo di esempio, al set di termini utilizzati per descrivere gli interventi sull’esistente, troveremo che per descrivere la riqualificazione si fa ricorso al recupero (Borri, 1985) così come per descrivere il recupero si fa riferimento al riuso (Colombo, 1987) e per la definizione di riuso si torna ad utilizzare il termine recupero (Barocchi, 1987). Insomma un simpatico labirinto che rende assai evidente il garbuglio terminologico dal quale siamo circondati.
Un garbuglio utile però a marcare posizioni e a legittimare incursioni in ambiti di ricerca non sempre attinenti al proprio: il tecnologo promuoverà la smart city dichiarando superato lo zoning, così come il sociologo rivendicherà la partecipazione in opposizione al verticismo pianificatorio ed il naturalista la sostenibilità ambientale contrapposta alla fattibilità economica. Insomma una Babele che, per certi aspetti, sembra non essere in tutto frutto del caso quanto di una battaglia di posizione su di un campo lasciato scoperto dagli urbanisti.
In un orizzonte diacronico il flusso di tali termini è tutt’altro che costante; esso, per quasi tutti quelli di più recente utilizzo, sembra seguire un rapido ciclo di nascita, diffusione e successiva stasi: un termine viene codificato in ristretti ambiti di ricerca – magari da un solo ricercatore – diviene rapidamente un paradigma nella discussione e nella pubblicistica, per poi tornare in uno stato di “sonno”, a volte in intervalli talmente rapidi da non avere il tempo di essere messo alla prova della lenta sperimentazione urbanistica “sul campo”. Spesso l’ultima fase è accelerata da un nuovo termine più complesso ed accattivante che sostituisce il precedente, si pensi alla recente sostituzione del paradigma della resilienza (Moccia, 2013), con quello dell’anti-fragilità (Cecchini & Blecic, 2016; Taleb, 2007).
Se contiamo le presenze, per ciascun anno, nei motori di ricerca vediamo come tali andamenti emergano con chiara evidenza (fig. 1): sostenibilità e consumo di suolo, termini che da più tempo sono entrati nel vocabolario corrente, registrano una riduzione tipica della terza fase, mentre la rigenerazione e la smart city, registrano incrementi tipici della fase espansiva. Andamenti lessicali che si discostano troppo spesso da quelle che sarebbero le reali e pragmatiche necessità di una ricerca utile al territorio e alla città
Le parole sono importanti, soprattutto quando, come nel caso dell’urbanistica, riescono ad orientare la ricerca scientifica e l’azione politica, ma sono anche capaci di sviare l’attenzione divenendo non più mezzo ma soggetto stesso del dibattito, aumentando la viscosità della discussione ed allontanando così il manifestarsi dei suoi esisti. Un rischio che sarebbe opportuno non correre.
“Il problema è capirsi. Oppure nessuno può capire nessuno: ogni merlo crede d’aver messo nel fischio un significato fondamentale per lui, ma che solo lui intende; l’altro gli ribatte qualcosa che non ha relazione con quello che lui ha detto; è un dialogo tra sordi, una conversazione senza né capo né coda.”
(Italo Calvino, Palomar).
Bibliografia
Barocchi, R., 1987, Dizionario di Urbanistica. Milano: Franco Angeli.
Borri, D., 1985, Lessico urbanistico annotato e figurato. Bari: Dedalo.
Cecchini, A., Blecic, I., 2016, Verso una pianificazione antifragile. Come pensare al futuro senza prevederlo. Milano: Franco Angeli.
Colombo, G., 1987, Dizionario di Urbanistica, Milano: Il Sole 24 Ore.
De Lucia, V., 1989, Se questa è una città. Editori Riuniti.
Esposito, F., 2016, Il lessico dell’urbano. Considerazioni finali. Urbanistica Tre.
Mantini, P., 2013, Rigenerazione urbana, Resilienza, Re/evolution. Profili giuridici. XXVIII Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. Salerno.
Moccia, F. D., 2013, Per una Metropoli Resiliente. Urbanistica Informazioni(248), 64-66.
Salzano, E.,1998, Fondamenti di Urbanistica. Bari: Laterza.
Scattoni, P., 2004, L’urbanistica dell’Italia contemporanea. Dall’unità ai giorni nostri. Roma: Newton & Compton editori.
Taleb, N. N., 2007, Il cigno nero. il Saggiatore.
Illustrazioni
immagine di copertina: Fotogramma dal film “Palombella rossa” di Nanni Moretti, 1989.
immagine 1: Rilevamento dei termini sui motori di ricerca, fatto 100 il valore al 2010 (indagine dell’autore)