RIGENERAZIONI URBANE
Conflitto, partecipazione e urban redevelopment. Il progetto Mediaspree a Berlino
Laureata in Geografia e Processi Territoriali, Università di Bologna
Le città sono storicamente il teatro di continui cambiamenti, non solo nella composizione demografica e nei processi ciclici di disgregazione e ricomposizione, sia dei tessuti sociali che dei rapporti attori/agenti, ma anche nei tentativi di gestire e/o adattarsi ai flussi migratori, alle dislocazioni, alle evoluzioni dei mercati del lavoro e a tutti i fenomeni che comportano una rottura degli equilibri.
La nuova riorganizzazione della città, che passa attraverso la privatizzazione di intere aree, e i suoi processi di riqualificazione e rinnovamento urbano avvengono molto spesso in maniera violenta. Con la bolla immobiliare del 2008 si è verificata una diminuzione dello sprawl periurbano e l’attenzione, per motivi di natura economica, è tornata al centro delle città. L’obiettivo della classe immobiliare è diventato quello di riorganizzare le dinamiche di rendita urbana, ovvero una rivitalizzazione dei suoli all’interno del perimetro della città, mediante la riappropriazione di lotti abbandonati, vuoti urbani, spazi occupati e neglected spaces.
A Berlino, però, il fenomeno, ha posto le sue basi già a partire dai primi anni novanta. I tentativi di trasmettere l’idea di una città finalmente riunita e coesa hanno dato origine ad una serie di politiche urbane e pianificazioni su carta che hanno tenuto poco conto delle caratteristiche reali delle aree interessate.
Il critico d’arte Karl Scheffler, nel 1910, per definire il suo rapporto contraddittorio di amore e odio verso la capitale tedesca, la definisce come una città condannata a vivere in divenire senza mai essere. Anche Ilies (2015), parla di Berlino come “l’eterna incompiuta”, una città il cui skyline è rappresentato da gru e cantieri.
Mediaspree è un progetto di sviluppo urbano che si disloca all’interno della zona orientale del centro di Berlino, frutto di un partenariato pubblico-privato. Il caso è la dimostrazione esplicita delle politiche di pianificazione urbana delle global cities, in cui la partecipazione di attori privati nella pianificazione pubblica è sempre più influente e determinante.
Il masterplan prevede un redevelopment totale delle rive della Spree, attraverso l’insediamento di imprese del mondo dei media e della comunicazione, strutture alberghiere, aziende legate all’offerta di servizi, industrie creative e del divertimento, palazzi destinati a residenze di lusso e, ovviamente, un gigantesco centro commerciale, in un quartiere in cui l’87% della superficie è già stato edificato.
Il piano interessa un’area di 3,7km e 180 ettari nel Bezirk Friedrichshain-Kreuzberg. L’area interessata dal progetto è localizzata nei lotti che si affacciano sull’East Side Gallery, una delle zone più scenografiche e con maggiore potenziale attrattivo della città, motore trainante della ripresa post-unificazione.
Il mix di programmi di sviluppo urbano su larga scala e il già fertile ambiente culturale che caratterizza l’area, ha attirato l’attenzione e gli investimenti di imprese internazionali come Universal e MTV, imprenditori e famiglie appartenenti a classi di reddito più elevate, i gentrifiers.
La storia del quartiere è tra le più emblematiche di Berlino. Durante il secondo conflitto mondiale quasi tutto il quartiere è stato raso al suolo dai raid aerei (in particolar modo l’area in cui sorge ora il progetto) e gran parte degli edifici abbandonati a causa dei danneggiamenti. Con la costruzione del muro e il trasferimento della capitale a Bonn il numero di residenti si dimezza; l’area a nord (Friedrichshain) è assegnata al settore di occupazione sovietica, mentre Kreuzberg, a sud, ricade sotto l’influenza americana. Da centrali, i quartieri divengono periferici e fatiscenti e a partire dalla fine degli anni ’60 gli edifici iniziano ad essere occupati da squatter, urban piooners e famiglie di origine turca.
Con la caduta del muro e l’unificazione i due quartieri rientrano in una serie di progetti di sviluppo urbano finalizzati all’unione dei due quartieri in un unico bezirk e in una serie di politiche finalizzate al consolidamento dell’immagina di una città unita e forte.
Dove falliscono le pratiche amministrative e le pianificazioni del senato urbano, tuttavia, riescono le iniziative spontanee popolari. La riqualificazione reale dell’area, e il vero impulso alla riunificazione delle due sponde del fiume sembra dato dalla diffusione della club culture e delle prime joint venture musicali, come ad esempio quella del Trésor, in cui collaborano tedeschi dell’est e dell’ovest, che trasformano il quartiere nel “the place to be”.
Le politiche urbane di Berlino, dal 2001 al 2014 durante il mandato del Sindaco Klaus Wowereit, hanno avuto come obiettivo dichiarato quello di far divenire la capitale tedesca una città “poor but sexy”, di trasformarla nella Silicon Valley europea creando uffici e zone adatte per creativi, start up e artisti.
Ma Mediaspree sorge in un’area che negli anni ’80 e ’90 è stata il regno delle appropriazioni spaziali temporanee, lo “Zwischennutzung[1]“ berlinese, con un’identità così forte e riconoscibile che è troppo difficile da spazzar via.
Il progetto si inserisce al centro delle aree che vivono in bilico tra la fine dei rapporti di temporaneità che le hanno caratterizzate e le nuove politiche di rigenerazione urbana che portano a uno snaturamento e a un sovvertimento delle loro costanti degli ultimi 40 anni. È un progetto che coinvolge la fine dei processi creativi, indipendenti da politiche urbane, e non poteva non scatenare delle reazioni e la nascita di un’opposizione.
Gli argomenti chiave dei movimenti di protesta si focalizzano su problematiche di natura ambientale, sulla minaccia dell’equilibrio urbano a causa di un’aumento del costo dello spazio abitativo, sulle pressioni di spostamento (e la conseguente gentrificazione) e sulla modifica dei caratteri storico-culturali dell’area.
Singoli cittadini e associazioni si sono riuniti organizzando manifestazioni e azioni di boicottaggio che hanno portato, nel 2008, ad indire un referendum. In seguito alle sollecitazioni del comitato “Mediaspree Versenken!” (affonda Mediaspree) sulla Commissione Straordinaria per lo Spreeraum, e ad una raccolta firme (16500 in meno di cinque mesi) nel luglio 2008 viene indetto il referendum “Spreeufer fur allee”, in cui l’86,7% della popolazione vota contro l’attuazione del progetto.
La consultazione non aveva carattere vincolante e le richieste sono state sostanzialmente disattese. La conquista più importante, tuttavia, si è avuta a livello sociale: una consistente quota di popolazione è stata parte attiva attraverso la partecipazione ad iniziative popolari, manifestazioni, proteste e il referendum stesso. Il movimento è riuscito ad ottenere un dialogo con le istituzioni, una negoziazione con gli investitori, ma soprattutto una risonanza mediatica significativa che è riuscita a raggiungere tutti i canali d’informazione, dimostrando l’utilità della partecipazione attiva alla politica cittadina.
A dieci anni di distanza dal referendum, e a pochi mesi dall’inaugurazione delle ultime strutture, solo uno degli intervistati, durante la mia ricerca su un campione di 230 users dell’area, ha considerato il progetto utile per la comunità.
Oltre all’evidente impatto a livello di immagine della città e di detrazione di suolo dal verde urbano, le conseguenze del progetto sono state molteplici. Dall’aumento degli affitti (26%) all’aumento del traffico (a cui si sta tentando di ovviare costruendo nuove arterie autostradali che passeranno per Treptower Park, distruggendo altro verde urbano), passando per l’inquinamento delle acque del fiume e la relativa perdita della biodiversita.
Ma, di fatto, il nocciolo del problema è senza dubbio la localizzazione dell’idea. La pianificazione non sembra aver tenuto in considerazione l’attitudine dell’area alla creatività spontanea e alle iniziative popolari, caratteristica che si è riproposta negli anni come costante in tutte le vicissitudini che hanno portato alla formazione della particolare identità di quartiere.
Le ripercussioni sono soprattutto sugli spazi. Le aree soppiantate dai nuovi progetti pianificatori, proprio in vità del carattere endemico con cui sono nate e hanno perseguito i loro obiettivi, non potranno essere riprodotte o trasferite, ma, semplicemente, cesseranno di esistere. L’ammodernamento strutturale non è sempre premessa di un peggioramento della qualità complessiva, ma lo snaturamento di un territorio urbano, la perdita delle sue peculiarità e la trasformazione in uno spazio asettico e privo di forza creativa, come potrebbe configurarsi come valore aggiunto?
Note
[1]Termine tedesco per definire le appropriazioni spaziali di tipo temporaneo.
Bibliografia
Heinemann M. 2005, A culture appropriation: strategies of temporary re-use in east Germany, Mit, Department of Architechture.
Ilies T., Scheffler K. 2015, Berlin – ein Stadtschicksal, Suhrkamp Verlag, Berlin.
“Stadtenwicklumg durch Zwischennutzung: Berlin experience with temporary urbanism“, 3/5/2007, Brochure del Dipartimento del Senato per lo sviluppo urbano e l’edilizia.
Swyngedouw E. 2001, Interrogating post-democratization: reclaiming egalitarian political spaces, Elsevier LTD, Political Geography 30.
Immagini
copertina: Mediaspree, 2017, Jenny Paul.
fig.1: Rendering Mediaspree (fonte www.diewelt.com).
fig.2: L’area di fronte all’East Side Gallery.