Un dialogo con Cellini

Un dialogo con Cellini

Note su un’idea di architettura

Recensione di Saper credere in architettura. Trentaquattro domande a Francesco Cellini a cura di Laura Pujia

PhD, Dipartimento di architettura, Roma Tre 

Saper credere in architettura. Trentaquattro domande a Francesco Celliniè un libricino minuto – letteralmente tascabile – edito dalla CLEAN Edizioni di Napoli e dato alle stampe nel mese di febbraio del 2019. La pubblicazione si inserisce nella collana Intervistee si colloca a ridosso di quelle rivolte a Kengo Kuma, Paulo Mendez da Rocha e Alberto Campo Baeza.

Poco più di trenta domande, intercalate da numerosi disegni, poste da Laura Pujia, per condurre il lettore attraverso l’idea di architettura – nel senso più amplio del termine – che Francesco Cellini, oggi professore emerito del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre e presidente dell’Accademia Nazionale di San Luca, ha maturato durante quasi mezzo secolo di ricerca e professione.

Nasce nel 1944 a Roma, nella città dove venticinque anni più tardi si sarebbe laureato. Tenendo le radici ben piantate nella capitale, ha condotto esperienze nazionali e internazionali nel campo del progettazione architettonica e urbana; ha sondato le tante declinazioni della disciplina, progettando residenze, cimiteri, piazze, ponti, chiese, musei e padiglioni per approdare negli ultimi decenni alle indagini sul difficile rapporto tra l’antico ed il nuovo nella città storica e sul senso che storia e memoria assumono nel progetto.

Affiancando una carriera accademica a quella professionale, è stato preside per molti anni dell’allora Facoltà di Architettura Roma Tre ed è ricordato da generazioni di studenti come un docente di grande cultura capace di brillanti lezioni poste quasi sempre in forma narrativa il cui centro è la disciplina nelle sue numerose sfaccettature.

Non è un caso, infatti, che nel centinaio di pagine di cui è composto il libro, al tempo che il dialogo attraversa i temi della didattica, del progetto, delle arti plastiche e visive, della costruzione e del cantiere, di Cellini non si avverte la presenza se non di riflesso, ovvero attraverso racconti: il professore narra se stesso solo tramite altro, mentre il centro del discorso è sempre l’architettura nella sua poliedricità e contraddizione.

Se nell’intervista sono assenti elementi e riferimenti superflui e la struttura del dialogo appare chiara e lineare, il merito va riconosciuto anche a Laura Pujia, curatrice della pubblicazione e forte di una lunga collaborazione professionale e accademica con l’architetto romano. Chi intervista infatti sa bene dove dirigere gli stimoli e porta il professore ad un confronto, a tratti intenso, che percorre la disciplina dell’architettura tutta, dalla didattica al mestiere, dal progetto all’esecuzione. È forse proprio la sequenza di interrogativi, evidentemente ben studiata, di concerto con lo spessore culturale di Cellini, a produrre un piccolo corto circuito, ovvero il paradosso letterario che converte una intervista – genere per sua natura autoreferenziale – in una lezione dall’amplio respiro in cui l’intervistato si delinea attraverso riferimenti esogeni, e proprio in questa natura impersonale e inattuale che si ravvisa una delle qualità più interessanti del libricino della CLEAN.

Due concause producono questa condizione qualitativa: la natura delle domande poste da Laura Pujia che evitano stimoli della sfera personale ed il fatto che Cellini faccia parte di quegli studiosi (docenti, scrittori, artisti) che non impongono la loro autorevolezza se non attraverso esperienze altrui e tramite tematiche che sconfinano la persona al punto tale che anche i progetti autografi vengono raccontati con distacco chirurgico. È così che in questo dialogo Francesco Cellini esercita una critica dell’architettura e dei suoi mondi dall’interno della stessa disciplina, limitando le autoreferenzialità a poche note necessarie al supporto di argomenti più ampli.

È con naturalezza che la domanda sul Progetto per il teatro romanoa Spoleto elaborato nel 2005 insieme a Maya Segarra Lagunes diviene una occasione per raccontare del contradditorio rapporto tra architettura e luogo, spiegato con un brillante e “fascinoso” – ipse dixit – riferimento alle sculture metalliche di David Smith.[1]Cellini fa notare come le ventisei opere prodotte dallo scultore statunitense e collocate su idea Giovanni Carandente nell’area archeologica del teatro romano in occasione del IV Festival dei due mondi, apparivano come una «folla diaffabili e vivaci abitanti della cavea antica, circondata da mura medievali e rinascimentali» (Pujia, 2019, p. 33) e tutti insieme costituivano un palinsesto  «organico e convincente» (Pujia, 2019, p. 33) sebbene le opere non siano «state dedotte da qualcosa di preesistente: prima di esse, niente di quei luoghi ti avrebbe suggerito che esse vi avrebbero potuto abitare con tanta congruenza e dimestichezza» (Pujia, 2019, p. 32).  La coesistenza felice di elementi artistici e architettonici – tipica dei contesti storici stratificati – porta a credere che esista «“concordia e dialogo”» (Pujia, 2019, p. 26) tra manufatti pensati in modi e tempi distinti, e che questa permetta la riuscita compresenza, nella piazza dei Priori a Perugia, del Palazzo omonimo, della Fontana Maggiore, della loggia della Vaccara ed del portale di Alessi; ma tale coerenza, certamente, non è il prodotto d’unità d’intenti; gli elementi costituiscono piuttosto, secondo osservazione tanto acuta quanto scomoda di Cellini, «il palinsesto delle arroganti ed egocentriche rappresentazioni dei poteri che di volta in volta hanno dominato la città [… tenute insieme solo dalla] vincente e prepotente qualità dell’architettura o dell’arte che l’ha generata» (Pujia, 2019, p. 26-27) ; qualità che tiene insieme le statue di Smith con le rovine romane e successive, la stratificazione di intenzioni di Perugia e i paesaggi urbani di molte città antiche.

Queste ed altre riflessioni non meno profonde si inseguono tra le righe dell’intervista, sondando altri luoghi, territori, esperienze didattiche, vicende di cantiere fino a giungere ai fax in formato A4, recentemente esposti alla mostra a lui dedicata allestita al Macro Testaccio[2], contenenti un esemplare esercizio di sintesi della proposta del progetto per ilCentro di Canottaggiodel lago di Corbara in cui bozzetti, schizzi, diagrammi costruttivi e principi insediativi costituiscono, da soli, una piccola lezione sul senso del disegno d’architettura nonché sul rapporto tra progetto e costruzione.

Una volta chiuso il libro, al termine di una lettura scorrevole e piacevole sino all’ultima battuta, si ha l’impressione di aver letto un testo più grande di quello che ci si ritrova tra le mani; si intuisce quindi che, a fronte di un genere letterario molto preciso, Saper credere in architettura. Trentaquattro domande a Francesco Cellininon è un volume che si lascia collocare facilmente nel categoria delle “interviste”. Perché a ben guardare si tratta a tutti gli effetti di una, seppur breve, (auto) biografia scientifica. Ci si trova di fronte ad un compendio teorico minuto ma convincente e universale che merita posto su uno scaffale a portata di mano.

La curatrice del volume avvisa in prefazione che questo libro è rivolto agli studenti, ma benché buona parte delle corde pizzicate da Cellini siano elementari, le risonanze, i riferimenti, i racconti e le loro implicazioni non lo sono, e rivelano invece porzioni di territorio disciplinare difficile, a volte spinoso e soggetto al dubbio. Il dialogo si muove in realtà tra temi complessi che, raccontati con la solita freschezza nota a chi Cellini lo conosce di persona, appaiono semplici. Questi argomenti, senz’altro utili agli studenti, hanno parecchio da dire anche a molte altre persone. È per questo che chi scrive crede che il piccolo libricino sia rivolto «agli studenti di architettura in senso lato, cioè a quell’amplio gruppo di persone che continuano a studiare ogni giorno l’architettura». (Martí Arís, 2007, p. 5)

 

Titolo: Saper credere in architettura. Trentaquattro domande a Francesco Cellini

Autore: Laura Pujia (eds.)

Editore: CLEAN edizioni

Pagine: 96

Prezzo: 6 €

Anno di pubblicazione: 2019

 

Note

[1] Nel 1962 lo scultore viene invitato in Italia da Gian Carlo Menotti e Giovanni Carandente in occasione del IV Festival dei due mondi, al termine del suo lavoro avrà prodotto ventisei sculture.

[2]La mostra Francesco Cellini. Strumenti e tecniche del progetto di architettura, curata da María Margarita Segarra Lagunes, si è tenuta presso il padiglione 9B del MACRO Testaccio a Roma dal 16 novembre 2016 al 8 gennaio 2017.

 

Bibliografia

Pujia, L. (eds.) 2019, Saper credere in architettura. Trentaquattro domande a Francesco Cellini, CLEAN edizioni, Napoli.

Martí Arís, C. 2007, La centina e l’arco. Pensiero, teoria e progetto in architettua, Christian Marinotti Edizioni, Milano.

  

Immagini

Immagine di copertina: Saper credere in architettura. Trentaquattro domande a Francesco Cellini, CLEAN edizioni

Immagine di accompagnamento: Saper credere in architettura. Trentaquattro domande a Francesco Cellini, CLEAN edizioni