Roma interrotta

Roma interrotta

Roma interrotta e il clima dell’opinione

di Anna Laura Palazzo

Professore ordinario di Urbanistica, Dipartimento di Architettura, Roma Tre

 

C’è una curiosa sottolineatura effettuata da studiosi italiani e stranieri sulle ragioni dei ricorrenti mali di Roma come un coacervo di atteggiamenti e comportamenti legati a un connotato antropologico che appartiene ai romani, ma, date le circostanze, diventa habitus anche per chi a Roma si stabilisce: un qualcosa nell’aria – indolenza, indifferenza  – che si tramuta in arte della sopravvivenza nella mutevolezza del cielo e degli accadimenti che riguardano la Città eterna.

Ne scrive Ludovico Quaroni, in Immagine di Roma: “C’è stata sempre forse, a Roma, la tendenza verso una vita che si lasci vivere soltanto, sia essa fatta d’ozio, di negozio o di guerra, non tanto confortata da un ottimismo di origine mistica, quanto invece depressa proprio nei valori di lotta, di fatica e di sacrificio legati ad una fede, da un pessimismo cinico che deriva a questa popolazione dalla capacità, troppa, che ha ed ha sempre avuto, di trarre insegnamento pratico e negativo dall’esperienza della storia. Insegnamento applicato risolto in una limitazione: nell’esser contenti, rassegnati, dell’oggi e delle cose come sono, senza le responsabilità di una speranza”.

Roma non ha conosciuto rivoluzioni. Quale che sia la propensione storiografica, il comune sentire – il “clima dell’opinione” (Whitehead, 1925) – viene sempre interpellato, figura ingombrante o sfondo resistente, per le innovazioni mancate, le mancate disruption (intese come interruzioni volontarie e non subìte) che in altri luoghi hanno segnato definitivi punti di svolta.

Partiamo da André Vauchez, che in Roma medievale si interroga se l’abbandono della città nell’alto Medioevo e la sua involuzione vadano letti alla luce di eventi eterodiretti o di un impulso interno: “La trasformazione va spiegata più plausibilmente con processi le cui cause si trovano all’interno della città nelle vicende della cittadinanza, sullo sfondo, certo, dei grandi eventi militari e istituzionali che sconvolsero l’intero mondo romano”.  Con un distinguo, un correttivo, che pone le premesse per una possibile contro-narrazione: “Ma ci si deve anche domandare se l’evocazione di una discesa progressiva fino al grado 0 della vita urbana sia l’unica o la più appropriata descrizione di come avvenne il passaggio della città antica alla città medievale nella storia di Roma”.

Proseguiamo con Hanns Gross: in Roma nel Settecento, l’interrogazione verte sull’imperfetto passaggio all’assolutismo dello Stato Pontificio sullo sfondo di una storiografia divisa tra allineamento con le tendenze accentratrici degli altri Stati nazionali e sotterranea resistenza al cambiamento. Gross propende per questa seconda chiave di lettura, chiosando: “Si attribuisce a Benedetto XIV la frase: il Papa comanda, i cardinali non obbediscono e il popolo fa quel che gli piace”.

Veniamo, in tempi a noi più vicini, a una singolare sintonia di fase, a inizio Novecento, tra governo Giolitti e sindacatura Nathan. Le leggi Giolitti ipotizzano per Roma uno sviluppo lineare trainato dall’industria lungo il tratto terminale del Tevere che avrebbe dovuto rompere con lo schema radiocentrico – tutte le strade portano a Roma – impostato dal tracciamento delle vie consolari in età repubblicana. A distanza di oltre duemila anni, lo slogan Roma al Mare coniato da Maggiorino Ferraris (1904) veicola attraverso un immaginario suggestivo un modello insediativo e di gestione urbana governato dai pubblici poteri. Di quel proclama resterà nel secondo dopoguerra una direzione preferenziale di sviluppo su base residenziale – un vasto cuneo tra Tevere e via C. Colombo – alimentata dalla speculazione edilizia. Un’altra interruzione, dunque: un progetto di modernità incompiuta che avrebbe potuto costarci forse molto in termini di qualità urbana, e di cui non abbiamo avuto che una breve anticipazione: penso allo smantellamento, anche simbolico, delle iniziative di sviluppo della zona industriale ostiense, per la verità non sempre chiaramente marcato come “industriale”, e alla circostanza che questo si è verificato gradualmente, senza un disegno preciso.

Vi è infine una lettura visionaria ma estremamente calzante dei mali di Roma: quella fornita da Giulio Carlo Argan nell’apertura di Roma Interrotta, volume pubblicato negli anni Settanta in occasione degli Incontri internazionali d’artecon numerosi progetti di architettura contemporanea ospitati nelle maglie del tessuto della città storica, più precisamente nella Grande Pianta di Roma di Giovan Battista Nolli (1748): “Roma è una città interrotta perché si è cessato di immaginarla e si è incominciato a progettarla (male). A Roma, la questione è piuttosto di tempi che di spazi, le maree delle epoche sono passate e si sono ritirate lasciando sulla rena i relitti di lontani naufragi: come tutti i relitti, hanno attorno uno spazio prossimo e sconfinato, il mare e la spiaggia. E’ una città vissuta di spoglie, poi di rovine, oggi di rifiuti. Anche i romani, da Enea in poi, sono arrivati da remoti disastri: creature del tempo, vivono di tempo e non temono di sprecarlo. Prima che Roma diventasse piatta ed informe come una polenta scodellata, i romani vivevano muovendosi negli strati delle epoche sovrapposte come pesci nell’acqua, in profondità e in superficie”.

Ma ciò che a Roma davvero andrebbe interrotto è proprio il giudizio o pregiudizio di quel qualcosa nell’aria che si frappone agli itinerari di sviluppo e con esso gli alibi che accompagnano lo stigma secolare che pesa su una città sempre più complessa e affaticata.

Roma non può più attendere.

 

 

Bibliografia

Aa.Vv. (1978). Roma interrotta: dodici interventi sulla Pianta di Roma del Nolli. Roma: Officina Edizioni.

Bertelli P. (2004). La Prima Zona industriale e il porto marittimo di Ostia nel dibattito tra le due guerre (1914-1942). In: Avarello P., d’Errico R., Palazzo A.L., Travaglini C. (a cura di), Il Quadrante Ostiense tra Otto e Novecento, “Roma moderna e contemporanea”, XII, 2004, n. 1-2. 146-174.

Gross H. (1990). Roma nel Settecento. Roma: Laterza.

Quaroni L. (1976). Immagine di Roma. Roma: Laterza.

Vauchez A. (2015). Roma medievale. Roma: Laterza.

Whitehead W.N. (1925). Science and the Modern World. Cambridge: Cambridge University Press.

 

Didascalie Immagini

Copertina: Roma. Il Foro romano, marzo 2020 (Foto A.L. Palazzo).

Fig. 1: Roma. Lungotevere Vittorio Gassman, maggio 2019 (Foto A.L. Palazzo).

Fig.2: Roma. Il Ponte dell’Industria, agosto 2014 (Foto A.L. Palazzo).