Il carretto dei gelati

Il carretto dei gelati

Il carretto dei gelati. Un’introduzione all’urbanistica

di Anna Laura Palazzo 

Professore ordinario di urbanistica, Dipartimento di Architettura, Roma Tre

Il carretto dei gelati è una densa e incalzante, a tratti ironica, riflessione su temi e accadimenti legati allo sviluppo della città nell’arco di mezzo secolo, sui successi e insuccessi di un riformismo che ha permeato la dimensione pubblica della città, sui traguardi di modernità perseguiti di cui viviamo spesso inconsapevolmente affermazioni e sconfitte.

Il libro accosta la storia al registro personale, ripercorrendo la nostra storia disciplinare nei suoi rapporti tutt’altro che semplici con le altre discipline spaziali e a-spaziali (l’economia, la sociologia), segnandone gli asincroni sviluppi su un orizzonte molto vasto di questioni e problematiche.

Intanto, una prima sottolineatura riguarda la collocazione del suo autore: urbanista tra gli storici e storico tra gli urbanisti, che gli ha consentito esplorazioni e interrogativi ad ampio spettro, sostenuti da una curiosità per le arti figurative e le avanguardie letterarie. Una sorta di “mossa del cavallo”, come la avrebbe definita Tafuri.

 

Alcuni temi di riflessione 

La relazione critica, sin dalle origini della “costruzione della urbanistica”, tra poteri e saperi, tra politica e scienza urbana. Uno scarto necessario, e direi persino opportuno e salutare, che chiede di essere trattato e fa problema quando viene negato.

Noi e gli altri: un noi che ogni saggio declina secondo un registro differente:

Un noi riferito alla cultura europea che ha codificato ed esportato in altri continenti, nel continente americano in particolare, dei modelli di universalismo nelle politiche di accesso ai servizi, che proprio in Europa sono stati e sono tuttora messi in causa.

Un noi riferito al radicale confronto/scontro tra cultura e natura, una natura con una fisionomia propria, una propria agency rispetto alle intraprese umane e che invita a una indagine sulla natura dell’uomo come matrice dei suoi comportamenti: in quanto animale l’uomo è una parte organica del paesaggio, come le altre creature. Egli differisce tuttavia dagli animali in quanto è portatore del sistema inorganico della propria eredità socioculturale (Hilberseimer).

Un noi nel confronto tra il bagaglio ingombrante delle discipline di organizzazione dello spazio rispetto alle sollecitazioni di impianti figurativi e concettuali meno sedentari e più introspettivi.  La critica e la pratica delle arti figurative hanno lavorato sistematicamente anche se con diverse angolazioni, sia nel senso di riassumere nella progettazione la totalità dell’esperienza che in quello di allargare l’esperienza ai campi ai campi dell’irrazionale, dell’elementare, del metastorico.

Un noi che pone a confronto, per chi pratica mestieri affini, i nostri impianti normativi di europei continentali con la tradizione mobile e assai meno assertiva del planning e del design anglosassone: design come disciplina del fare e del modificare lo spazio abitato e abitabile. Del resto, i limiti del nostro linguaggio sono i limiti del nostro mondo.

Sono suggestioni tratte da Appunti per una storia dell’idea di progettazione alla scala territoriale (1965): appunti che si soffermano su un comune nocciolo di esperienze di matrice anglosassone – la città giardino -, e ne esplorano le conseguenze sul dire e sul fare.

Di qua dall’Atlantico, una declinazione nostalgica quasi intimista si traduce in critica radicale di modelli avulsi dalla cultura locale:  le ipotesi di qualificazione formale delle strutture urbane di un Cullen tendono a recuperare il senso della storia affidando alcuni point de repère alla dimensione del townscape, in un’esplorazione che va dall’interno verso l’esterno. Negli Stati Uniti, dove la cultura urbana non conosce il peso della storia la fine di una figura e misura (di una dimensione conforme) viene salutata da riflessioni e ragionamenti su coerenze e disassamenti tra forme urbane e forme dell’urbano nello spazio metropolitano: pensiamo a Gottman, Webber e Friedmann. Qui annota Giorgio:

O meglio, una corrispondenza c’è tra il modello metropolitano, caratterizzato da una stratificazione orizzontale di processi funzionali e di ‘comunità d’interessi’, e un’organizzazione spaziale caratterizzata dall’indifferenza delle localizzazioni al suo interno: ma si tratta solo di una nuova disponibilità spaziale, di un materiale informe che sembra talvolta, per inerzia, tendere addirittura a comporsi secondo i vecchi schemi. Questo punto oggetto del design non potrà che essere il nuovo modello strutturale in cui il rapporto costruito-naturale si trasferisce in un campo più omogeneo distinto da una maggiore o minore tensione formale nei diversi punti che lo compongono, e anche, da una tensione formale che è diversa a seconda del modo nel quale è fruito da un individuo o da una comunità. 

Ci sono davvero qui tutti i presupposti di quella storia che ancora attende di essere raccontata.

Una storia di cui Lewis Mumford riassumeva le tensioni:

Il problema della scala: “gli urbanisti non si rendono conto che superficie e popolazione non possono crescere all’infinito senza distruggere la città o almeno senza imporre un nuovo tipo di organizzazione urbana per la quale bisogna trovare una forma adeguata su scala piccola ed uno schema generale su grande scala”.

Parlavo in apertura di asincroni sviluppi. Le avanguardie figurative sono andate per la loro strada, la disciplina della trasformazione del territorio si è forse involuta: i discorsi di oggi sono spesso quelli di ieri senza lo slancio propulsivo degli inizi.

Infine: il linguaggio. Giorgio sa che ammiro molto l’esattezza e la scrittura scintillante e veloce. Che nasce senza sforzo apparente.

Ma anche, e forse soprattutto: l’intento di capire più che di giudicare: domande, una curiosità mai gravata da preconcetti o presupposti moraleggianti. Una testimonianza asciutta di come le cose si mostrano.

La morale della favola resta al lettore.

 

Titolo: il carretto dei gelati. Un’introduzione all’urbanistica

Autore:Giorgio Piccinato

Editore: RomaTre-Press

Pagine: 175

Anno di pubblicazione: 2020