iQuaderni # 13 | Editoriale

 

U3 iQuaderni #12

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Anti-gentrification, ovvero una agenda (politica) urbana anti-esplusione

a cura di Sandra Annunziata

Il discorso e le pratiche anti-gentrification sono da qualche anno al centro del dibattito pubblico. Questo numero dei Quaderni tratta questo tema a partire da un vasto repertorio di pratiche anti-espulsione in atto in diverse città europee e dalle sfide epistemologiche che il tema pone. Raccoglie una varietà di pratiche anti-gentrification sviluppatesi in diverse città Europee raccontate da attivisti e/o ricercatori che si sono incontrati a Roma per un confronto collettivo sul tema(1). La prima parte del quaderno dà voce all’esperienza di chi è direttamente coinvolto in pratiche anti-sfratto, anti-austerity, anti-mercificazione dello spazio urbano a fini turistici e anti-speculative in diverse città. In particolare agli attivisti è stato chiesto di descrivere le loro esperienze e il loro repertorio di azioni(2). In una seconda parte affronta i principali nodi teorici, le sfide epistemologiche, le ambiguità e le contraddizioni che il tema delle resistenze (implicite ed esplicite) ai processi di gentrification e displacement pongono alla ricerca. In alcuni casi gli scrittori danno vita ad un dialogo tra pratiche e dibattito disciplinare, in altri si tratta di ricercatori-attivisti oppure ricercatori impegnati nel campo delle politiche che assumono una prospettiva riflessiva sul lavoro svolto. Ne esce un quadro eterogeneo, uno sforzo collettivo che arricchisce la nostra consapevolezza di cosa significhi resistere ai processi di gentrification.
La parola anti-gentrification è qui utilizzata per diversi fini: come cornice di senso comune ad un complesso regime di espulsione che caratterizza le città dell’Europa del sud; per tenere insieme diverse pratiche di resistenza accumunate dall’idea di permanenza nello spazio urbano di categorie sociali e comunità di cittadini che altrimenti verrebbero escluse e/o espulse dai processi di trasformazione urbana; sostanzia un esercizio di prefigurazione e di ricognizione di un repertorio di azioni praticabili in tempi di austerità economica che assumano una ottica anti-espulsione e rimettano la solidarietà sociale al centro dell’agenda urbana.
Penso sia importante precisare tre aspetti della linea di ricerca dalla quale questo numero dei Quaderni nasce(3). Il primo è che, coerentemente con un approccio di teoria critica al fenomeno, sia utile occuparsi di gentrification a partire nella prospettiva di chi viene espulso e marginalizzato nel e per il processo. Mi allineo quindi con la posizione di Peter Marcuse quando dice: “If the pain of displacement is not a central component of what we are dealing with in studying gentrification – indeed, is not what brings us to the subject in the first place – we are not just missing one factor in a multi-factorial equation; we are missing the central point that needs to be addressed” (2010, p. 187). Il secondo è che, al fine di delineare i termini del discorso e le pratiche di contrasto alla gentrification, assumo deliberatamente una posizione a mezza via tra un approccio particolarista allo studio del fenomeno (che guarda alle specificità e ai diversi sistemi di regolamentazione, Maloutas 2017) e un approccio universalista, di matrice politico economica, che tende a estrarre e ad evidenziale le regolarità e le proporzioni assunte dallo stesso fenomeno a scala globale (Lees et all 2015, 2016). Il terzo è che si è scelto di guardare al discorso e alle pratiche anti-gentrification in un determinato contesto geografico, ovvero le città dell’Europa del Sud per comprendere come si siano consolidati (o nati ex novo) in seguito alla crisi economica. Queste città sono infatti accumunate da un complesso regime di espulsione che trova legittimità e giustificazione nel clima di austerità permanente che distingue questi contesti (Annunziata e Lees, 2016). A questi casi ho voluto aggiungere gli echi riformatori di Berlino in materia di politiche abitative (Holm) e alcune riflessioni sulle esperienze anti-gentrification londinesi (Ferreri), un contesto in cui il fenomeno è particolarmente aggressivo, per far emergere il carattere singolare del discorso anti-gentrification nelle città dell’Europa del Sud.
Un approccio di teoria critica al processo di gentrification ha da tempo messo in evidenza che occuparsi del fenomeno significa occuparsi dei suoi effetti: l’espulsione urbana di categorie sociali fragili, vulnerabili e a basso reddito dalle aree urbane centrali. I termini del discorso e delle pratiche anti-gentrification sono quindi prevalentemente riconducibili a: una domanda di prevenzione all’espulsione urbana in tutte le sue forme – diretta, indiretta, esclusivista (Marcuse 1985a) e simbolica (Janoschka 2016); una domanda di abitazioni in affitto possibilmente durevole e sostenibile (Newman and Wyly 2006, Hartman 1984); una indiscriminata possibilità di fruizione dei beni urbani de-mercificati (tra i quali la casa, ma non solo). Nonostante l’esistenza di questi studi, nella letteratura sui processi di gentrification le possibili alternative hanno occupano un posto marginale; il dibattito si è orientato sugli elementi esplicativi del fenomeno e meno sugli effetti e sulle resistenze. Lees e Ferrero (2016) hanno riattualizzato il tema e posto l’attenzione sulla necessità di approfondire il repertorio di pratiche e competenze messe in campo per contrastare il fenomeno.
Le pratiche anti-gentrification raccolte in questo numero dei Quaderni, non possano che essere lette in relazione alle specificità dei contesti in cui sono praticate/osservate. A lungo studiosi del campo hanno discusso del fatto che le città dell’Europa del Sud presentassero dei fattori endogeni in grado da fungere da elementi di inerzia del processo di gentrification, le cosiddette gentrification barriers (Ley and Dobson 2008) e invitato a considerate ogni ‘caso’ di gentrification come un caso a sé, tenendo in considerazione le specificità di ogni contesto per evitare generalizzazioni (tra gli altri, Maloutas 2017). Tra le specificità delle città prese in osservazione, che fanno da sfondo ai processi osservati, è importante annoverare il sistema di housing di riferimento; l’incidenza della proprietà della casa, la frammentazione della stessa, considerata un fattore di inerzia per investimenti di trasformazione urbana come nel caso di Atene. A ciò si aggiungono sia la presenza di abitazioni pubbliche di proprietà pubblica in aree centrali e l’esistenza, seppur debole, di forme di tutela dell’inquilinato e di regolamentazione dell’affitto ancora presenti in diversi ordinamenti come nel caso di Madrid. Infine è altresì importante annoverare che le città dell’Europa del Sud sono caratterizzate da una relazione storicamente determinata tra gruppi sociali e spazio urbano che si è tradotta in bassi livelli di segregazione residenziale o in forme di segregazione verticale (Barbati e Pisati 2015 per l’Italia, Leal 2010 per la Spagna, Maloutas e Karadimitriu 2001 per la Grecia).

Questi fattori hanno fatto sì che il fenomeno si presentasse inizialmente lento e ibridato con altri aspetti della trasformazione urbana descritto come gentrification-like processes (Janoschka et all 2012). Negli ultimi decenni però, le politiche urbane sembrano aver giocato un ruolo decisivo nell’eliminazione di queste barriere. Le pratiche di gentrification nelle città dell’Europa del Sud sono infatti descritte in combinazione con politiche pubbliche di sviluppo urbano come il turismo (Cocola Gant 2014); in casi in cui la rigenerazione urbana ha previsto parziali o totali demolizioni di quartieri (Arbaci, Tapada 2012, Dalgado 2011 e Portelli 2015 per Barcellona); in relazione con progetti di riqualificazione dello spazio pubblico e piani del commercio finalizzati all’aumento di attrattività dei luoghi e delle pratiche di consumo ad essi confacenti (Janoschka e Sequera, 2015 per Madrid; Alexandri 2015 per Atene); programmi di alienazione del patrimonio residenziale pubblico in aree di pregio (Herzfeld 2009).
La crisi economica globale, tradottasi nei paesi del sud Europa come crisi del debito, ha avuto come effetto quello di trasformare le città di questa macro regione nella sede in cui sperimentare forme acute di austerità economica che a loro volta hanno prodotto le necessarie giustificazioni per il consolidamento di pratiche predatorie di estrazione della rendita e di espropriazione. Ciò sta avvenendo mediante land grabbing, privatizzazione e finanziarizzazione di assets collettivi e privati anche mediante forme di scaling up degli operatori della gentrification, come fondi immobiliari e global coorporation (Alexandri e Janoschka 2017). In questo clima sono a rischio di espulsione anche gli anticorpi del processo di gentrification: gli spazi e i centri sociali, le occupazioni a scopo a abitativo e tutti quei contesti in cui si sono a lungo prodotte alternative alla mercificazione dello spazio (Cattaneo e Martìnes 2016) sono stati sfratti o sono sotto sfratto.
L’aumento di forme di espulsione in seguito alla crisi economica, l’emergere di una (nuova) crisi abitativa e, infine, importanti riflessioni sull’impatto del turismo urbano sull’abitabilità della città rappresentano un punto di svolta nella trattazione critica del fenomeno al punto che è più plausibile di quanto non fosse qualche tempo fa che il tema occupi il dibattito pubblico e che ci si chieda quali siano le responsabilità specifiche dei decisori dei processi di policy(4).
Il cuore politico di questa riflessione è che nelle fasi più acute del processo di gentrification, le misure di prevenzione hanno già fallito o si sono dimostrate insufficienti. Gli strumenti di policy necessari per ritornare ad una situazione di equilibrio prevedrebbero uno sforzo collettivo enorme, grandi livelli di solidarietà sociale e l’implementazione di misure, altamente impopolari, di mitigazione e regolamentazione del mercato che, dopo essere scomparse dall’agenda politica in decenni di credo sconfinato nel neoliberismo economico, stanno timidamente ritornando. Un orientamento anti-displacement non è però nuovo al corpus teorico del progressive planning e agli studi critici sulla gentrification (di cui imprescindibili riferimenti Marcuse 1985 a,b e Hartman 1984). Nel 1984 Chester Hartman sintetizzò con lo slogan “the right to stay put” un set di pratiche e politiche atte a garantire un titolo di godimento durevole dell’abitazione a categorie vulnerabili, nuclei monoparentali, persone sole e minoranze etniche. Lo slogan “stay put”, parola chiave del discorso anti-gentrification, è però in Hartman qualcosa più che ‘restare fermi in un luogo e resistere all’espulsione’. Una sua traduzione ci rimanda allo ‘stare attenti’, all’osservazione e ad una interpretazione critica di ciò che ci accade intorno. Uno slogan che ribadisce il principio per cui la resistenza non implica rimanere fermi, al contrario implica un’azione intenzionalmente orientata ed un esercizio di prefigurazione del cambiamento (Saitta 2015).
Strette nella morsa dell’impopolarità, le misure anti-gentrification sono però destinate ad occupare lo spazio politico dell’incrementalismo radicale, una prassi in grado di correggere il tiro e i principali problemi di un sistema, ma senza metterne in discussione le premesse(5). Al contrario, il corpus teorico del progressive planning di Hartman, è fondato sulla prevenzione attiva al displacement, sulla de-mercificazione degli asset urbani e sui diritti d’uso e di accesso allo spazio urbano. Il manuale Displacement how to fight it? (Hartman, Keating and LeGates, 1982) presenta un repertorio di pratiche e di azioni che vanno dalla consapevolezza di quello che sta accadendo fino alla definizione delle azioni da praticare per bloccare l’espulsione. Le proposte avanzate nel testo, disegnate per e con i cittadini, sono tutt’oggi attuali: evitare la demolizione e la privatizzazione dell’edilizia residenziale pubblica; dare avvio a campagne di sensibilizzazione su progetti speculativi; limitare i cambi di destinazione d’uso nel rispetto dei ritmi dei quartieri; istituire delle zone anti-sfratto; disegnare progetti di trasformazione urbana alternativi. L’attualità di questa tesi è confermata dalle proposte di riforma delle piattaforme anti-sfratto in diverse città europee (Colau and Alemanì 2012; Osservatorio DESC 2013, Abitare nella crisi 2015; European Action Coalition, 2015) e dal repertorio di azioni di comitati di cittadini impegnati in campagne anti-demolizione, anti-speculative e nella redazione di piani di sviluppo alternativi (Ferreri e Libera repubblica di San Lorenzo in questo numero), per una regolamentazione degli affitti e una riforma radicale delle politiche abitative (come nel caso di Berlino, Holm in questo numero) e per l’introduzione di misure di mitigazione del turismo (Cocola Gant e Assemblea de Barris per un Turisme Sostenible in questo numero).
Una rassegna critica della letteratura sulle pratiche anti-gentrification (Annunziata e Rivas 2016) ci ha permesso di identificare alcune regolarità e competenze messe a servizio di una esplicita richiesta di prevenzione (riforme legislative in materia di affitto, politiche pubbliche per l’abitazione), ma anche un set eterogeneo di pratiche di bricolage legale che provano a guadagnare tempo, a formulare contro proposte e narrazioni in grado di destabilizzare la cultura mainstream (come fa il collettivo Left Hand Rotation mediante il ricorso allo strumento del video) che tende ad equalizzare speculazione a sviluppo urbano (sulla utilità di fare distinzione tra speculazione e gentrification si veda Saitta in questo numero). Un denominatore comune di queste pratiche è quello di essere politicamente coscienti, internazionalmente orientate e di puntare ad una strategia della visibilità. Nella congiuntura attuale però questi aspetti non sembrano più essere l’unica forma di resistenza ai processi di espulsione. È infatti altrettanto plausibile ipotizzare che una strategia dell’invisibilità, quella che sposta le pratiche fuori dal radar delle istituzioni, alla ricerca di reti informali di supporto sia oggi la via più praticata per una vera a propria sopravvivenza urbana (Lees, Annunziata e Rivas, 2017).

Da questo punto di vista una teoria delle resistenze alla gentrification potrà solo che beneficiare di nuovi studi che assumano un’ottica anti espulsione non solo guardando ai repertori dell’azione collettiva ma anche alla scala micro, quella della vita quotidiana e di uno studio della resistenza che criticamente affronti il tema scivoloso della diversità anche etnica in quartieri in via di gentrification (come fa Manzo in questo volume)
Lo spazio urbano delle città europee in cui sono in atto pratiche di resistenza ai processi di gentrification e displacement rappresenta (ancora) oggi un campo di ricerca fervido per possibili innovazioni delle politiche pubbliche di prevenzione all’espulsione urbana, contro-narrazioni, forme di produzione collettiva della conoscenza nonché uno spazio ‘politico’ in cui rinegoziare continuamente diritti sociali e spaziali in epoca di austerità che non è solo taglio alla spesa pubblica ma anche contrazione dei diritti di cittadinanza. Non a caso, dopo anni di deliberata disattenzione, il tema dell’espulsione urbana ha raggiunto il discorso pubblico, per esempio nel ‘governo del cambiamento’ in Spagna (che ha fatto dell’anti-sfratto il tema centrale delle elezioni municipali nel 2015 (Sorando in questo numero); è al centro delle attività di resistenza dei movimenti anti-austerità in Grecia (Katerini, in questo numero), delle pratiche dei movimenti di lotta per la casa così come del dibattito sui commons urbani (Grazioli e Caciagli, in questo numero). Il dibattito sulla prevenzione è al centro di studi e di misure sul contrasto alla povertà della Commissione Europea (2016), di città alle prese con vecchie e nuove emergenze abitative (Annunziata e Satitsia, in questo numero).
Nonostante lo sforzo di presentarsi in modo unitario e con un’agenda coesa a livello Europeo, le pratiche che adottano una linea anti-espulsione sono in realtà molto diversificate sia nel modo di concettualizzare il problema che nel loro repertorio di azioni. La cornice di senso anti-gentrification ci permette di tenerle insieme e di valutare il loro potenziale per la definizione di una agenda anti-espulsione adatta alle emergenze delle città in cui viviamo.
Esplorare le potenzialità, i limiti e le contraddizioni delle pratiche di resistenza ai processi di gentrification, consente da una parte un esercizio di prefigurazione (e costruzione) di una agenda di politiche anti-espulsione che ci riguarda tutti, dall’altra la messa a fuoco degli elementi di contraddizione e nuove possibili linee di ricerca. Con questo numero auspichiamo che le pratiche anti-gentrification presenti in questa raccolta e i nodi teorici aperti stimolino ulteriore dibattito sul tema del contrasto all’espulsione urbana.

Note

(1) Gli autori dei saggi hanno partecipato al workshop “Stay Put, un dialogo transnazionale per la costruzione di un manuale anti-gentrification per le città dell’Europa del sud” presso l’Università di Roma Tre, Dipartimento di Architettura il 26-27 ottobre 2016. A questi si è aggiunto Andrej Holm per l’esperienza decennale in pratiche anti-gentrification a Berlino.
(2) I contributi degli attivisti sono delle generose restituzioni di esperienze e proposte di azione, non hanno nessuna pretesa di soddisfare il rigore scientifico della scrittura accademica.
(3) Si tratta della ricerca comparativa Anti-gentrification policies and practices in Southern European Cities, finanziata dalla Comunità Europea con il fondo Marie Curie IEF FP7-People-2013 e,sviluppata dall’autrice in collaborazione con la professoressa Loretta Lees presso l’Università di Leicester.
(4) Si vedano per esempio le pagine del Guardian dedicate al tema “Cosa fa la tua città per contrastrare la Gentrification?” aperte a tutte le città del mondo.
(5) Questa tesi è esposta in Gallaher, 2015 che ha studiato la conversione dei titoli di godimento da affitto a proprietà in USA, prassi che in Europa si traduce in alienazione di edilizia residenziale pubblica. Questa prassi è vista come una forma di incrementalismo radicale delle politiche e secondo Gallaher concorrerebbe a rafforzare le possibilità di radicamento di inquilini nei quartieri. Il testo non si sofferma però su chi non è in condizione di diventare proprietario o non vuole farlo e sul conseguente forme di patrimonializzazione che le alienazioni comportano.

Riferimenti

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