iQuaderni #08

 

U3 iQuaderni #08

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gennaio-marzo 2016

a cura di
GU | Generazione Urbana

 

Coscienza/consapevolezza. Il dizionario De Mauro definisce la coscienza come la “consapevolezza che l’uomo ha di sé e del mondo esterno”. Treccani ci suggerisce che “il termine indica in generale la consapevolezza che il soggetto ha di sé e dei propri contenuti mentali, del complesso delle proprie attività interiori e degli oggetti cui queste attività si rivolgono. In questo senso, rientrano nella definizione di coscienza sia la semplice percezione sensibile di stati o condizioni interne ed esterne, sia la capacità dell’Io di organizzare e sintetizzare in un insieme organico percezioni, sentimenti e conoscenze”.
L’intento di questo Quaderno è ragionare attorno alla coscienza urbana oggi, con l’obiettivo di stabilire una connessione tra la consapevolezza di ogni individuo, la percezione della propria azione e del proprio ruolo, e il contesto urbano allargato che inevitabilmente abita e fruisce.

Urbanità e Cultura urbana. Nella condizione urbana contemporanea, dove città e territorio tendono a indentificarsi nella grande dimensione della città-regione, il concetto di urbano può venire a coincidere con l’attività degli individui che abitano territori sempre più dilatati. Le tradizioni interne agli studi urbani restituiscono diverse definizioni di urbanità, anche se il rischio, in alcuni casi, è quello di rifarsi a prospettive a tratti recalcitranti nei confronti delle “nuove” forme dell’abitare che caratterizzano il territorio da almeno 30 anni, escludendo quindi a priori le potenzialità legate alle esperienze di vita quotidiana. Questo può dipendere da quanto importante e saldo si pensi essere, nella premessa del ragionamento, il legame fra lo spazio fisico della città e le pratiche in esso contenute. Se lo spazio fisico è articolato in un registro figurativo e in un registro antropologico (Bilò, 2014), discutere di coscienza urbana significa indagare questioni che afferiscono al secondo.

È in quest’ultimo che s’incontrano, infatti, i rapporti tra corpo e spazio, tra spazio e azioni, tra attese degli abitanti e quanto lo spazio offre, ovvero questioni legate all’abitare, al diritto e al modo di stare in uno spazio, alla maniera di viverci (ibidem). In ordine sparso: Lozano (1990) mette in relazione la densità abitativa con il concetto di “urbano” (Jane Jacobs prima di lui negli anni ‘602) e lo descrive come la potenzialità d’interazione fra gli abitanti e le istituzioni rifacendosi ad una condizione umana di vitalità, pluralità, differenza e interazione, contrariamente Webber (1964) non si rifà alle condizioni fisiche dell’ambiente costruito ma rimanda piuttosto ad apertura e accessibilità dello spazio. Manuel Delgado (1999), così come Wirth (1928)3 prima di lui, propone in questo senso una separazione fra dimensione fisica e urbano, visto quest’ultimo come una rete di relazioni variabili entro lo spazio4. La definizione di città di Amin e Thrift (2002) restituisce un luogo che non ha mai potuto essere delimitato da confini fisici dato che “gran parte della sua finalità è di fondere tracce che indubbiamente vanno oltre i suoi confini fisici” (ivi, p.121). Entro una prospettiva di “urbanizzazione planetaria” (Brenner, 2013) cade il limite fra urbano e non urbano e all’opposto dell’urbano non più il rurale ma piuttosto “una forma di vita nella quale si registra una stretta congiunzione tra la morfologia spaziale e la strutturazione delle funzioni sociali, e che può essere associata a sua volta all’insieme di formule di vita sociale basate su obblighi di routine, una distribuzione chiara dei ruoli e delle indicazioni prevedibili, formule che sono solite raggrupparsi sotto la dizione di tradizionali e premoderne” (Delgado 1999, p.24).

(…)

GU |  V.  Andriola, S. Muccitelli, N. Vazzoler


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