Territorializzare la Cura
Virginia Musso, Dottoranda presso l’Università Bicocca di Milano
Virginia Musso è laureata in Filosofia (Università Sapienza di Roma) con una tesi che indaga il rapporto tra spazio urbano e marginalità sociale secondo una prospettiva di genere. Dopo aver conseguito il Master Città di Genere (Università di Firenze), ha svolto attività di ricerca presso l’Università Roma Tre, approfondendo la relazione tra l’etica della cura e i processi di trasformazione dello spazio urbano. Attualmente, è dottoranda in Studi Urbani presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca. I suoi principali interessi di ricerca sono la giustizia socio-spaziale e le filosofie femministe.
Virginia Musso graduated in Philosophy (Sapienza University of Rome) with a final thesis investigating the link between urban space and social marginality from a gender perspective. After achieving the Master’s degree in Gender City (University of Florence), she carried out research activities at the University of Roma Tre, inquiring how the ethics of care can inform the transformation processes of urban space. Actually, she is a PhD candidate in Urban Studies at the University of Milano-Bicocca. Her main research interests are socio-spatial justice and feminist philosophies.
Abstract
Le crescenti disuguaglianze sociali e la violenta crisi climatica si innervano in un mondo sempre più inabitabile e urbanizzato. Questa evidenza ha stimolato la genesi di paradigmi che interrogano il nostro modo di abitare, opponendosi all’egemonia del capitalismo estrattivista. In tale congiuntura si colloca il pensiero della cura, inteso come grammatica conflittuale e trasformativa per ripensare l’abitabilità del mondo. In questo quadro, il contributo si propone di delineare una sintetica disamina dell’operatività attuale della cura in ambito progettuale. Il primo paragrafo contestualizza il concetto di cura attraverso una breve retrospettiva che ne esplicita il legame con i femminismi e ne sottolinea la recente espansione semantica. Il secondo paragrafo discute il modo in cui questa concezione estesa di cura può dialogare con gli studi urbani e nomina alcune esperienze applicative di tale visione. Le conclusioni non hanno pretese definitorie ma, rimanendo aperte e in progress, tentano di navigare la complessità di tale prospettiva circoscrivendo tre traiettorie che, convergendo, sembrano promettenti nel definire un approccio progettuale di cura: la fenomenologia del quotidiano, la svolta relazionale e la sostenibilità olistica della vita.
Growing social inequalities and the violent climate crisis are embedded in an increasingly uninhabitable and urbanised world. This evidence has stimulated the genesis of paradigms that question our way of living, opposing the hegemony of extractivist capitalism. The thought of care, understood as a conflictual and transformative grammar for rethinking the world’s habitability, is placed in this conjuncture. In this framework, the contribution proposes to outline a synthetic examination of the current operativity of care in the design field. The first paragraph contextualises the concept of care through a brief retrospective that makes explicit its link with feminism and underlines its recent semantic expansion. The second paragraph discusses how this extended conception of care can dialogue with urban studies and names some application experiences of this vision. The conclusions make no definitional claims but, remaining open-ended and in progress, attempt to navigate the complexity of this perspective by circumscribing three trajectories that, converging, seem promising in defining a design approach to care: the phenomenology of everyday life, the relational turn and the holistic sustainability of life.
#Cura, #Spazio Urbano, #Urbanistica Femminista
La grammatica della cura per riscrivere la città: note su possibili traiettorie progettuali
Le crescenti disuguaglianze sociali e le violente conseguenze del cambiamento climatico si innervano in un mondo sempre più inabitabile e urbanizzato, dove la tendenza alla continua crescita economica mette sistematicamente a rischio il mantenimento dei legami con le comunità di cui siamo parte e con il mondo che abitiamo (Fraser 2017). La consapevolezza di questa crisi, che è anche urbana, ha fatto emergere voci e immaginari centrati sul concetto di cura. Quest’ultima è diventata una tra le traiettorie percorribili per definire una strategia urbana che contrasti le ingiustizie socio-spaziali e la marginalità urbana. Il valore assunto da questa prospettiva all’interno della riflessione sull’attuale condizione urbana rende importante tornare alle radici femministe del pensiero della cura, per definire una genealogia concettuale da cui partire per ragionare intorno ad alcune domande, quali: da dove viene e dove sta portando l’utilizzo del concetto di cura in ambito progettuale? In che modo queste prospettive possono informare la disciplina urbanistica e stimolare pratiche di territorializzazione trasformative e sostenibili? Nel contesto dei saperi progettuali, il carattere ampio e transdisciplinare della cura è una problematica o una potenzialità? Al fine di alimentare il dibattito sul progetto e l’abitare contemporanei, il contributo si propone di delineare una sintetica disamina dell’operatività attuale della cura in ambito progettuale. Il primo paragrafo contestualizza il concetto di cura attraverso una breve retrospettiva che ne esplicita il legame con i femminismi e ne sottolinea la recente espansione semantica, con l’obiettivo di chiarire in che modo tale prospettiva investe lo spazio pubblico. Il secondo paragrafo discute il modo in cui questa concezione estesa di cura può dialogare con gli studi urbani e diventare una bussola per definire le politiche pubbliche, come dimostrano le esperienze applicative in atto a Barcellona e Montevideo. Infine, le conclusioni non hanno pretese definitorie ma, rimanendo aperte e in progress, tentano di navigare la complessità di tale prospettiva circoscrivendo tre traiettorie che, convergendo, sembrano promettenti nel definire un approccio progettuale di cura: la fenomenologia del quotidiano, la svolta relazionale e la sostenibilità olistica della vita.
Da critica a sistema: il pensiero della cura
Il concetto di cura si radica nelle lotte legate alla riproduzione sociale inaugurate dalle femministe marxiste intorno agli anni ‘70. Sostanzialmente assimilabile al lavoro riproduttivo, la cura è un concetto politico, situato nella congiuntura tra produzione/riproduzione e capitalismo/patriarcato. A tal proposito, Federici afferma che «lo sviluppo del capitalismo è avvenuto non solo attraverso la colonizzazione e la schiavizzazione di intere popolazioni. È avvenuto anche attraverso la separazione tra produzione e riproduzione, tra salario e non salario, tra la creazione di nuove gerarchie del lavoro e di nuove forme di patriarcato fondate sulla svalutazione del lavoro femminile» (Federici 2022, p. 27). Il controllo delle donne, dunque, non nasce in concomitanza al capitalismo, ma è all’interno di questo sistema socio-economico che assume caratteristiche specifiche, come l’invisibilizzazione e lo sfruttamento del lavoro di cura. Nonostante la riproduzione sociale sia una condizione indispensabile per la produzione capitalista, «il lavoro riproduttivo è stato scisso, relegato a una sfera separata, privata, nella quale la sua importanza sociale è stata occultata» (Fraser 2019, p. 61). A partire dagli anni ’70, le femministe si sono mobilitate per combattere l’oppressione, rendendo visibile questo intreccio e dando vita ad un nuovo paradigma che ha messo in luce l’importanza sociale del lavoro riproduttivo, la cui sistematica esternalizzazione [1] si traduce oggi in una vera e propria crisi della cura (Fraser, 2017; 2023). Lungi dal considerare la riproduzione sociale un semplice “fare le pulizie” (Belingardi, 2015), ma riconoscendone il valore cruciale, queste prospettive mettono in luce le molteplici pressioni che stanno comprimendo un insieme di capacità sociali stratificate, interrelate e fondamentali per la nostra esistenza, che riguardano le famiglie, le comunità, il pianeta e, più in generale, il mantenimento dei legami (Fraser, 2017) con ciò che ci circonda e con il mondo che abitiamo. Lungi dal riguardare un semplice dibattito sul raggiungimento della cosiddetta work-life balance, tale prospettiva rivendica una trasformazione sociale strutturale. Come affermano alcune attiviste di Non Una Di Meno Padova «alla centralità data ai profitti e all’accumulazione di denaro dobbiamo riuscire a contrapporre la buona vita, il buen con-vivir [2] a partire dalla trasformazione dei processi materiali, affettivi, culturali, psicologici, simbolici attraverso i quali la vita umana si rigenera» (Bonanno et al., 2020, p. 187-188). Questo, come nota Fraser, «a sua volta richiede di reinventare le separazioni istituzionali che costituiscono la società capitalista» (Fraser, 2023, p. 324), ma anche, come afferma Tronto, ridisegnare i confini morali egemoni a livello sociale e politico (Tronto, 2006).
In questa congiuntura conflittuale, emerge una teoria etico-politica che mette in primo piano la cura, non più intesa come lavoro, quanto piuttosto come «un tipo di attività caratteristica della specie umana volta a mantenere, perpetuare e riparare il nostro “mondo”, così da viverci come meglio possiamo. Questo mondo comprende i nostri corpi, noi stessi e il nostro ambiente, tutti gli elementi che cerchiamo di mettere in relazione in una maglia complessa di sostegno alla vita» (Tronto 2006, p. 118). Tutto questo comporta una ridefinizione del sé, non più descritto come autonomo e indipendente, ma come incarnato e situato all’interno di un reticolo di interdipendenze (Butler 2020). Per questo, come afferma Centemeri, «la logica della cura fa esistere un altro tipo di soggetto la cui autonomia non è intesa come autosufficienza e dominio sul mondo, ma come autonomia relazionale che si sviluppa nel rapporto di (inter)dipendenza con altri esseri viventi (umani e non) e con un contesto materiale» (Centemeri 2021a, p. 85). In tal senso, la cura trascende la sfera della specie per diventare cardine di una logica ampia, che inizia dal corpo e giunge all’ambiente, una postura etica che «richiede ascolto e attenzione alla molteplicità di forme di interdipendenza sociale ed ecologica, alla loro manutenzione quotidiana» (Centemeri, 2021b, p. 94-95).
Figura 1
Allargare le maglie concettuali: cura e spazio urbano
Tale ri-definizione del soggetto rende la cura un concetto particolarmente fecondo per avviare una riflessione sullo spazio. Infatti, dal momento che i corpi sono sempre in situazione (Bonu et al. 2023) e le relazioni sono sedimentate nello spazio (Peake 2015), la logica dell’esistere è sempre anche una topologica (Danani 2013). Questo significa che lo spazio non è un mero sfondo su cui le vite vengono vissute, ma che, al contrario, è proprio al suo interno che l’esistenza umana trova le condizioni per prodursi e riprodursi (Danani 2018). In questa congiuntura, considerare lo spazio in un’ottica di etica della cura place-based (Till 2012) significa riconoscere che alcune condizioni e configurazioni spaziali facilitano l’emergere di pratiche di cura (Courbebaisse, Salembier 2022), orientate verso «l’esplorazione delle pratiche e l’immanenza della vita di tutti i giorni» (Molinier 2019, p. 84). In tal senso, cura nella città «vuol dire sostegno al gesto piccolo, di basso impatto, locale, riproducibile, legato al ciclo del vivente […]. Avere cura di un territorio significa allora valorizzare le relazioni, comprendere i limiti e trasformarli in risorse progettuali e non limitarsi solo a presidiare, imbrigliare, contenere, recintare, sorvegliare, vietare attraverso un sistema di norme sempre più sclerotizzato» (Marinelli 2015, p. 128-129).
Contro l’abitudine culturale di considerare la sola dimensione spaziale in ambito progettuale (Granata 2023), adottare uno sguardo di cura per guardare la città invita a considerare l’importanza della dimensione immateriale dello spazio – i tempi, le vite e le relazioni che in esso si sviluppano – all’interno del progetto. A fronte dell’ inabilità contemporanea, tale riconoscimento dovrebbe divenire il fulcro della pianificazione, per stimolare saperi progettuali che si propongono di rispondere ai bisogni delle persone in un contesto sempre più urbanizzato, tentando di sopperire ad una ormai diffusa crisi della riproduzione sociale. Il concetto di cura si rivela allora essere particolarmente adeguato per avviare tale riflessione urbana rinnovata, poiché «da un lato, la sua universalità le consente di infrangere i limiti angusti della sfera privata […]. Dall’altro, la sua concretezza si traduce nella capacità di intervento attivo e capillare nella infinita molteplicità delle situazioni, prima di tutto quotidiane, nelle quali il soggetto si trova ad agire» (Pulcini, 2009, p. 262).
Il potenziale progettuale della cura è stato riconosciuto [3] ed è confluito in esperienze eterogenee, informali e non. Tra queste ultime, sono significativi i casi di Montevideo e Barcellona, due comuni in cui – nel più ampio contesto di urbanistica femminista – le istituzioni assumono la cura come una responsabilità pubblica di cui deve farsi carico la politica oltre che la cittadinanza e che, per questo, hanno elaborato diverse strategie per la sua territorializzazione: rispettivamente, Cuidados en el B [4] e Ciutat Cuidadora [5]. Questo tipo di approccio fornisce supporto alle persone, decostruisce i ruoli di genere e mette in discussione le dicotomie tradizionali, come casa/lavoro e produzione/riproduzione. In questo senso, come nota Muxì, «la prospettiva di genere applicata alla pianificazione urbana significa mettere sullo stesso piano le esigenze derivanti dal mondo produttivo e quelle derivanti dal mondo riproduttivo, cioè le necessità quotidiane di cura delle persone» (Muxì et al. 2011, p. 108).
Figura 2
Conclusioni (in progress)
Le conclusioni di questo sintetico contributo non hanno pretese definitorie ma, rimanendo aperte e in costruzione, si propongono di sollecitare una riflessione intorno al valore trasformativo della cura in ambito progettuale, tentando di navigare la complessità di questo concetto così ampio ed esteso. Proprio in tale aspetto indefinito e ambiguo – che inibisce circoscrizioni teoriche nette – consiste la peculiarità della cura che, per definizione, è refrattaria alle definizioni normative (Botti 2018), esortando ad assumere uno sguardo contestuale e una postura promiscua, ovvero non gerarchica, condivisa, diffusa e indiscriminata (The Care Collective, 2021). Nonostante questa intrinseca apertura, credo sia comunque possibile tentare di orientarsi e identificare alcune traiettorie che, convergendo, sembrano promettenti nel tratteggiare i contorni di un approccio progettuale di cura: la fenomenologia del quotidiano, la svolta relazionale e la sostenibilità olistica della vita. In particolare, e in estrema sintesi, la prima traiettoria – nel solco dei saperi situati (Haraway, 1988) – accorda una cruciale centralità al contesto e alla vita quotidiana, rifiutando un’impostazione progettuale normativa e astratta. Il secondo asse concettuale, ovvero la svolta relazionale, ha a che fare con la centralità delle relazioni e con la soggettivazione della città, entità complessa con cui condividiamo un reciproco processo di trasformazione e non mero sfondo delle nostre vite. Infine, la terza traiettoria riguarda il situare la relazione tra soggetti e mondo all’interno di un reticolo di interdipendenze in cui la sostenibilità della vita a) non è prerogativa degli essere umani ma riguarda gli ecosistemi di cui siamo parte e b) trascende il concetto di benessere e salute – scollegandosi dal dibattito sulle città attive (Borgogni & Farinella, 2017) – e diviene un concetto politico, che implica narrazioni etiche riguardanti i diritti e le risorse, proponendosi di rendere possibile la libertà degli altri (Graeber 2019).
Didascalie
Immagine di copertina: Rene Magritte, The Banquet, 1958
Figura 1: Bettye Lane, Manifestazione per la giornata internazionale dei diritti della donna, Institut Radcliffe, 1977
Figura 2: Municipio B, 1er Encuentro de Cuidados Comunitarios, 2023 1er Encuentro de Cuidados Comunitarios
Riferimenti
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Bonu G. et al. 2023, Bruci la città. Generi, transfemminismi e spazio urbano, Edifir, Firenze.
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Note
[1]Per approfondire si veda: Fraser N. 2017, La fine della cura. Le contraddizioni sociali del capitalismo contemporaneo, Mimesis, Sesto San Giovanni.
[2]Su qualità della vita e pianificazione urbana si veda Valdivia Gutiérrez B. 2021, La Ciudad Cuidadora. Calidad de vida urbana desde una prospectiva feminista, Universitat Politécnica de Catalunya.
[3]Ad esempio: Fitz A. & Krasny E. 2019, Critical care: Architecture and urbanism for a broken planet, The MIT Press, Boston; Gabauer A. et al. 2022, Care and the City. Encounters with Urban Studies, Routledge. New York.
[4]https://municipiob.montevideo.gub.uy/cuidados-en-el-b
[5]https://www.barcelona.cat/ciutatcuidadora/ca