Foresta e città, parte III
Foresta e città, parte III: Estetiche a confronto
PhD in Paesaggi della Città Contemporanea, Dipartimento di Architettura, Roma Tre
Chiarita l’accezione contemporanea di Foresta Urbana[1], non è facile definirne le categorie estetiche ed etiche. Molto della costruzione dei paesaggi contemporanei si estrinseca nel rendere riconoscibile per segni,[2]per archetipi, per immagini e per capacità di attrarre, un determinato luogo urbano. Quest’ultimo può valorizzare il proprio carattere o può rischiare la standardizzazione, diventando troppo simile a quello precedente o successivo.
Le ragioni per cui oggi si tende ad avere un modello dell’assetto vegetazionale urbano omogeneo sono molteplici, ma se ne possono riconoscere, tra le tante, almeno tre. La prima ha una natura profonda, la quale dipende dall’evoluzione e recente storia del rapporto tra uomo e natura; la seconda deriva dall’uso improprio e dalla veloce divulgazione del materiale digitale proposto, il quale definisce dei canoni estetici impropri poichè legati ad immagini di finzione in cui si esalta la spettacolarità e artificialità; infine, l’influenza che la città orientale, e in particolare Singapore, ha esercitato a livello internazionale,divenendo un’icona della città contemporanea. Per tutto ciò oggi assistiamo ad una tendenza culturale che esalta un paesaggio estetizzante, dove il Bello è l’elemento centrale, il quale ha fagocitato tutti i concetti a lui affini, sganciandosi così drasticamente da una lettura delle tracce territoriali, dall’estetica locale e dalla sua funzione ambientale.[3]
Le condizioni descritte hanno portato ad una globalizzazione e ad una sottovalutazione dell’identità locale del paesaggio, il quale viene trattato principalmente in modo architettonico, ovvero, come un elemento controllabile e stabile nel tempo, che si mostra nella sua forma brillante e geometrica, trasformandosi quasi in una immagine pubblicitaria di benessere, sostenibilità e tecnologia. Tale impostazione esalta e spinge il progettista ad operare seguendo linee prettamente formali, invece che assecondare ed aiutare il carattere individuale di ogni singolo spazio ad emergere, sviluppando in tal modo un senso estetico idoneo al luogo d’appartenenza.
Alla luce di queste considerazioni, si è scelto di prendere ad esempio due città in cui si è costruita nel tempo una Foresta Urbana, nel cui ambito è possibile definire le diverse categorie etiche ed estetiche: Singapore e Portland – Oregon.I casi di Singapore e Portland sono stati scelti come esempi significativi delle diverse strade che si possono seguire nel progettare l’introduzione della foresta urbana, da un lato quello essenzialmente artificioso, spettacolare e estetizzante promosso dalle elite politiche di Singapore, dall’altro quello più vicino alle radici culturali locali, attento alla risposta ecologica e basato sull’attiva partecipazione dei cittadini di Portland.
Singapore– I processi che hanno definito la modifica dell’immagine della città di Singapore si devono principalmente al sistema politico, con tendenze autoritarie, iniziato alla metà degli anni Sessanta, quando il primo ministro Lee Kuan Yew cominciò ad elaborare una nuova visione per la sua città, quella di una ‘Garden City’, prendendo spunto dalle città europee visitate agli inizi della sua carriera. L’intento era quello di definire e realizzare un ambiente urbano gradevole, attraente e di uso piacevole sia per la vita locale, ma soprattutto come meta escursionistica futura. Difatti, la promozione di questa nuova immagine di città organizzata, verde e pulita, andò mano a mano a configurarsi e divenne sempre più una destinazione turistica, sviluppando un progressivo processo di distacco di Singapore dal suo contesto originale. Come osserva Purini:
‘Singapore è una città/non città, un’invenzione politico/geografica la cui artificialità non può non insinuarsi come un dubbio sostanziale in chi ne percorre gli spazi dilatati e neutralizzati. Il dubbio riguarda l’indiscutibile perdita dell’appartenenza di Singapore al suo luogo, sostituita dalla creazione di un ambiente di sintesi che fa di questa città/isola una sorta di parco tematico di se stessa […] rifiutare il mondo da cui si proviene a favore di una sua rappresentazione, una traslazione che modifica irreversibilmente la sua identità iniziale […]’.[4]
Ecco come si definì nel tempo tale costruzione utopica: la città cominciò a delineare per ordine del ministro, già alla fine degli anni Sessanta, una serie di fasi operative per concretizzare la costruzione della nuova immagine urbana. Un primo stadio fu costituito da una intensa piantumazione di alberi guidato dalla allora “Divisione Parchi e alberi della città”, la quale aveva lo scopo di ricreare viali alberati, simulando quelli dei boulevard di Parigi.Inoltre, verso la metà degli anni ’70 si definì un ulteriore focus: venne creato un piano per la realizzazione di una serie di parchi urbani,i quali avevano lo scopo sia di essere luoghi di ristoro per i residenti, ma anche elementi seduttivi, basati sull’esaltazione del contrasto tra grandi architetture futuristiche e una natura artificialmente selvaggia, per chi vi capitava di passaggio. Su questo oggi si fonda la forza attrattiva e insieme il limite della città.
Sull’esplorazione del rapporto tra contemporaneità e storia, si ricorda l’analisi critica effettuata da Koolhaas nel suo libro Singapore Songlines, uscito alla fine degli anni Novanta. Koolhaas indaga Singapore con estrema attenzione, arrivando a isolare, tramite i processi che l’hanno definita, i presupposti teorici della Generic City, i quali sono dovuti all’applicazione del principio della Tabula Rasa, ovvero alla progressiva rimozione delle caratteristiche del luogo d’appartenenza. Ne emerge che mentre una città di nuovo conio, come Singapore, è destinata a una continua trasformazione che istituisce una storia e un’artificiosità non sterile, noi rischiamo di diventare “Singapore” per l’influenza che il suo esempio continua ad esercitare. Koolhaas profetizzò che lo schema urbano di Singapore avrebbe influenzato il futuro sviluppo metropolitano con conseguente «autoritarismo senza autore».
Portland– è un esempio significativo e precoce di come la vegetazione in città possa essere sia legata alla cultura locale, che innovativa e attiva attraverso la sovrapposizione di alcuni aspetti complementari: il rinnovamento urbano e sociale, l’aspetto estetico e culturale e la performance ecologica ambientale. In particolare, negli ultimi tempi, anche a seguito delle ricorrenti criticità legate al cambiamento climatico in ambito urbano, Portland è diventata uno dei casi di città più citati a livello internazionale per aver istituito un programma dettagliato di pratiche greening per la gestione delle acque meteoriche. In particolare la città si distingue per la progressiva costruzione nel tempo di una Foresta Urbana, la quale dapprima aveva lo scopo principale di fornire ai cittadini un luogo pubblico piacevole e bello per godersi la natura; mentre, in tempi recenti, è divenuta un esempio di buona pratica di come la concomitanza di più aspetti progettuali e tecnici, non solo possano far fronte al rischio alluvionale, ma lavorare anche sulla sovrapposizione e stretta collaborazione tra pubblico e privato, sull’educazione del cittadino e sull’abbellimento della città.
Per giungere a questo programma di grande successo dal grado multiforme e complesso, si deve inevitabilmente partire dalla radice del contemporaneo contesto culturale, ovvero il pensiero filosofico del City Beautiful Movement, il quale aveva l’intento di introdurre e promuovere la bellezza perincentivare processi virtuosi in campo comportamentale e civico tra le popolazioni urbane. Il movimento, sviluppatosi tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, investì tutto il Nord America e in molti abbracciarono queste tendenze e riforme culturali, le quali nel tempo definirono una stretta relazione tra la città e il proprio contesto territoriale e naturale.
Pertanto, data la preesistenza di un ambiente culturalmente sensibile, non è affatto strano che Portland fu la prima città ad adottare un piano municipale di adattamento al cambiamento climatico nel 1993. Questo piano, a seguito del riconoscimento della necessità di effettuare un sistema alternativo per la raccolta delle acque piovane, basò i suoi punti strategici nel reintrodurre anche in ambito urbano dei corretti processi naturali e un corretto ciclo idrogeologico. Infine una delle prerogative principali dei programmi per l’eco-sostenibilità di Portland risiede nella partecipazione degli abitanti e quindi nello sviluppo di un nuovo senso della comunità. In questo senso, come sostiene Girot:
“L’architetto (del paesaggio) è diventato il costruttore di un’identità locale all’interno di un mondo di non-entità frammentate. La nuova identità in questione, tuttavia, il più delle volte non può essere legata alla tradizione né a una vecchia immagine arcadica. L’architetto del paesaggio si troverà così a dover soddisfare esigenze di singolarità, originalità e differenza positiva.”[5]
Note
[1]Cfr. Pandolfi G., Foresta e Città e Foresta e Città Parte II, Urbanistica Tre, sezione Focus Roma 2018.
[2]Paolella A., Abitare i luoghi. Insediamenti, tecnologia e paesaggio, Edizioni BFS, Pisa 2004, p. 30.
[3]Tondo E., Architettura e narratività, Edizioni Unicopli, Milano 2000, p. 59-62.
[4]Purini F., Singapore, in La metropoli dopo, (a cura di) Ciorra P., Moltemi Editore 2000, p.68
[5] Girot C., Paesaggio e ossessione, Casabella, 711/2003, p.53
Bibliografia
Cranz G. 1982, The Politics of Park Design: A History of Urban Parks in America, MIT Press, Cambridge.
Lynn Flowers M. 2001, Comparative history of three urban parks the Bois de Bologne (Paris), Forest Park (Portland, Oregon) and Ueno Park (Tokyo), Tarleton State University, Stephenville.
Koolhaas R. 1995, Singapore Songlines — Ritratto di una metropoli Potemkin…o trent’anni di tabula rasa, (a cura di) Robilant M., Quodlibet, Macerata.
Slavin M. I. 2011, Snyder K., Sustainability in America’s Cities, Capitolo II: Strategic Climate Action Planning in Portland, Island Press, Washington DC.
Immagini
copertina: Verde brillante, elaborazione grafica ad opera di Giulia Pandolfi.
fig.1: Singapore dagli anni ’90 in poi ha compiuto altri significativi passi per assicurare il progresso della sua immagine. Gradens by the bay(2012)oggi definsce l’immagine iconica della città.
fig.2: La progressiva costruzione della foresta urbana di Portland comincia nel 1947 quando fu realizzato il Forest Park.