IL PAESAGGIO CULTURALE

IL PAESAGGIO CULTURALE

PAESAGGIO CULTURALE:

Patrimonio nuovo dai valori antichi 

di Tiziana Casaburi

Dottoranda, Dipartimento di Architettura, Roma Tre

Da Bolzano a Trento si percorre per circa nove miglia una valle sempre più ubertosa. Tutto ciò che fra le montagne più alte comincia appena a vegetare, qui acquista forza e vita; il sole brilla con ardore e si crede ancora in un Dio…….L’Adige scorre a questo punto più tranquillo e in molti luoghi forma estesi banchi di ghiaia. Lungo il fiume e sul dorso delle colline la coltivazione è così intensa e così folta da far pensare che tutto debba soffocarsi a vicenda: filari di viti, granturco, gelsi, mele, pere cotogne e noci. Lungo i muri si protende vigoroso il sambuco, lungo le rocce l’edera s’arrampica in tenaci fasci spampanando tutto all’intorno, la lucertola striscia fra gli intervalli, e così tutto quello che si vede e si muove qua e là, fa pensare ai quadri prediletti. Le trecce delle donne raccolte sulla nuca, il petto nudo dei maschi in abiti leggeri, gli splendidi bovi che vanno e vengono dal mercato alla casa, gli asinelli curvi sotto il carico – tutto questo sembra un quadro vivo e parlante di Heinrich Roos[1].

Tra le eloquenti parole dello scrittore tedesco, che pongono acutamente l’attenzione sul dinamismo del territorio, si cela uno dei concetti cardine dell’interpretazione di un antico patrimonio, “riabilitato” e definito come tale dalla legislazione europea[2] solo nello scorso decennio, e che ha suscitato ed ancora stimola un interesse crescente in ambito accademico, sociale ed economico.

Il forte incremento demografico e la crescita economica che seguirono il secondo dopoguerra hanno portato ad una speculazione edilizia ed infrastrutturale priva di criterio, che ha frammentato il territorio, determinando forti perdite ambientali, sia in termini quantitativi che qualitativi. Questo eccessivo sfruttamento del territorio ha determinato un interesse, in molti casi tardivo, per la salvaguardia di quei territori che presentano particolari caratteristiche, il cui godimento è nostro dovere garantire anche alle generazioni future.

In particolare, l’attenzione al paesaggio si è espressa attraverso l’individuazione di nuovi valori, non legati solo all’aspetto estetico-naturalistico[3], ma anche alla concezione del paesaggio stesso come simbolo culturale e storico[4].

Nell’odierno dibattito sul paesaggio, iniziato in maniera sistematica già dagli anni ’90, si stanno definendo e caratterizzando sempre più questi “nuovi valori”, già intuiti, come vedremo in seguito, dai grandi scrittori del passato, alcuni dei quali sono riusciti ad individuare ante litteram gli aspetti principali delle moderne linee di pensiero.

In primo luogo l’attenzione è stata posta sulla percezione[5], che permette di superare la contingenza del territorio e di carpire l’insieme di relazioni e di valori identitari che il paesaggio veicola; quell’aspetto evocativo che ha permesso a Leopardi di produrre uno dei capolavori della poesia italiana, “solo” osservando l’orizzonte dal suo colle solitario.

A tal proposito l’attenzione si sposta sul concetto di “valore identitario”, più immediatamente comprensibile per le comunità locali, ma che può esser colto anche da chi non appartiene ad un determinato luogo per nascita, attraverso la lettura dei simboli che lo arricchiscono, come, ad esempio, l’albero secolare nella Piazza del piccolo villaggio di Ohrid, in Albania, che conserva in sé la traccia del culto dell’albero sacro, antica pratica pagana[6].

Per comprendere a pieno questo “patrimonio immateriale” che definisce l’identità dei luoghi, tuttavia, è necessaria una lettura diacronica del territorio; tale atteggiamento permette di porre in luce i processi di modificazione che hanno caratterizzato il paesaggio, già elegantemente descritti da D’Annunzio nella poesia I Pastori:

E vanno pel tratturo antico al piano,

quasi per un erbal fiume silente

su le vestigia degli antichi padri[7].

La concezione di “Paesaggio Culturale”, definizione utilizzata dall’UNESCO nel 2005, sancisce dunque l’individuazione dei valori spirituali come caratteri distintivi di un territorio, connotato da una ricchezza stratigrafica di insediamenti e culture: riconoscimento moderno di un concetto radicato nel tempo. A tal proposito è utile citare alcuni degli esempi virtuosi fra gli interventi di salvaguardia nati da questa “scuola di pensiero”, come la riqualificazione dei Siti Sacri di collegamento intorno al monte Kii in Giappone (Fig. 01), i percorsi devozionali di Assisi, il progetto integrato dei Sacri Monti del Piemonte[8] (Fig. 02), o lo stesso Piano Paesaggistico della Regione Piemonte[9], nato non col fine di censire gli oggetti di pregio, ma con l’intento di analizzare in forma mirata le strutture che ne caratterizzano il paesaggio, lette sotto un profilo multiculturale tipico di questa regione, soggetta alla dominazione di popoli diversi e connotata da una variegata morfologia territoriale.

Il patrimonio paesaggistico è inteso, pertanto, come “prodotto in continua evoluzione di processi sociali di rappresentazione, di identificazione, di costruzione, di produzione territoriale”[10], secondo un’interpretazione priva di vincoli temporali e spaziali, per far emergere le relazioni tra elementi caratteristici, anche storici, del territorio ed i cambiamenti dovuti alla sua crisi; “come spazio di vita collettivo e condiviso, in continuità con le modalità storicamente consolidate”[11].

Solo un’analisi di questo tipo può far cogliere il rapporto tra elementi naturali ed istanze sociali, un legame chiaramente espresso nell’Addio ai monti manzoniano, quando la nostalgica Lucia, nel salpare verso l’Adda, rivolge l’ultimo saluto ai monti del lecchese ed ai loro

torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche;

ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti[12].

Studiando il territorio si può comprendere il sistema di equilibrio tra uomo e natura, ripercorrere l’evoluzione storica delle città che ne hanno sfruttato le risorse e concepirlo come espressione di un insieme di azioni individuali connesse tra loro; in altri termini, la terra ed il suo volto divengono teatro dei soggetti che vi si relazionano[13].

Fortunatamente il carattere identitario, i valori simbolici e spirituali, la concezione globale della rete di relazioni sociali e culturali che connotano il paesaggio sembrano esser state precisamente comprese ed espresse dalla normativa cogente e dalla Convenzione Europea sul Paesaggio, che sancisce il riconoscimento formale dei valori recepiti dalle legislazioni nazionali[14].

Ciò che va colto nell’intendimento del legislatore è che il paesaggio è un bene la cui qualità, sempre più ricercata, può favorire guadagni direttamente legati alle risorse territoriali di cui è più immediata espressione, considerando tra queste dalle rendite fondiarie a quelle turistiche, la produzione di beni materiali esclusivi ad alto valore aggiunto e difficilmente imitabili, come quelli di tipo agroalimentare, artigianale, industriale e nel settore dei servizi.

La Convenzione assume, quindi, il principio fondamentale che il paesaggio rappresenta una risorsa economica specifica proprio quando viene rispettato; è pertanto prioritario investire in esso politicamente. Bisogna porsi l’obiettivo di uno sviluppo che sia fondato sulla percezione dei valori che il territorio esprime, nelle varie realtà locali di cui è composto.

La vera ricchezza di una comunità, le opportunità e la competitività nel mercato globale dipendono in modo diretto dalla sua capacità di qualificare e tutelare il paesaggio nel suo complesso, secondo intenti di valorizzazione delle eccellenze e delle peculiarità che esprime, rifuggendo calcoli economici ristretti e finalizzati a vantaggi particolaristici e non lungimiranti.

Proprio sulla base di queste considerazioni, sono nati in Italia negli ultimi decenni i vari Piani Paesaggistici e Territoriali Regionali, che concepiscono il paesaggio come bene patrimoniale da proteggere e non come mera risorsa turistico-economica da sfruttare.

Per citare alcuni esempi, oltre al PPR della Regione Piemonte di cui è già stata fatta menzione in precedenza, possiamo annoverare il Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia (PPTR), nato come “strumento per una nuova economia che salvaguardi le risorse e costituisca un nuovo punto di vista”[15]; il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana (PIT), integrato dal Piano Paesaggistico del 2009 e la cui impostazione deriva anche dal precedente Statuto del territorio toscano; il Piano Paesaggistico Regionale della Sardegna (PPR) ed il Piano Territoriale Regionale dell’Emilia Romagna.

Nella redazione di questi Piani, si possono evidenziare alcune linee guida fondamentali, che ne accomunano gli intenti. In primo luogo è necessario un approccio multidisciplinare già nella fase di conoscenza, a monte di quella operativa. Uno degli intenti di un Piano dovrebbe essere quello di ricucire il lembo di territorio carico di significati storico-culturali, con l’estremità legata alla progressiva antropizzazione, che ne ha modificato gli assetti, non sempre seguendo una pianificazione strutturata del sistema insediativo e produttivo.

Importante è il coordinamento continuo tra gli organi amministrativi adibiti alla tutela dei beni Paesaggistici e la pianificazione territoriale, per seguire nuovi paradigmi di riferimento nell’ambito delle politiche paesaggistiche che permettano di ampliare il punto di vista, esteso dall’oggetto singolo al territorio in cui si inserisce, in un flessibile e costante cambiamento di scala, dal livello territoriale a quello d’ambito.

Anche assicurare la fruizione pubblica delle risorse naturali e culturali assume rilevanza, al fine di garantire la qualità del paesaggio e la vivibilità del territorio. Questo è possibile attraverso politiche di progettazione e gestione partecipata del patrimonio, che coinvolgano le comunità locali (sempre guidate da tecnici, cui sta il compito di raccogliere gli interventi e rielaborarli nel corso della progettazione), ma che sostengano anche le esigenze di interesse nazionale, in un ambito di completa mobilità dell’individuo che può entrare in contatto con un paesaggio, a prescindere dai suoi “diritti anagrafici”.

Una volta sanciti i principi che costituiscono il fulcro della regolamentazione sui provvedimenti paesaggistici, rimane il dubbio sulla legittimità degli interventi stessi, che non possono seguire criteri oggettivi di giudizio, se non quello di “salvaguardare il bene comune”[16].

Sarebbe aupicabile restituire il patrimonio che il paesaggio custodisce alla memoria collettiva; quella che Halbwachs concepisce “non come resurrezione o reviviscenza del passato come tale; essa è essenzialmente ricostruzione del passato in funzione del presente. […] L’immagine del passato che il ricordo attualizza non è qualcosa di dato una volta per tutte; se il passato si conserva, si conserva solo nella vita degli uomini, nelle forme oggettive della loro esistenza e nelle forme di coscienza che a queste corrispondono”[17].

L’assimilazione del reale è sempre interpretativa, perché è nel presente che si manifesta la “storicità” dei luoghi; è il ricordo attualizzato che restituisce ai cittadini gli elementi attribuiti, poi, a quella memoria collettiva, nel cui quadro sociale si può formare anche la memoria del singolo. Essere in grado di trasmettere ai cittadini il valore storico di un oggetto, significa concedere ai fruitori i mezzi per comprenderlo[18]; ed è compito degli specialisti, in quanto detentori di quelle tecniche che permettono di decodificare il valore storico, riuscire a mettere a disposizione dei “cittadini comuni” gli strumenti necessari per una delle possibili interpretazioni[19]. Alla fase conoscitivo-esplorativa, come abbiamo visto sempre guidata dall’attenzione tematica del periodo storico in cui viene svolta[20], segue quella della rappresentazione ed interpretazione, attraverso la ricomposizione dei luoghi, per restituir loro una qualsivoglia funzionalità.

In quella che oggi viene definita tutela attiva[21] riveste un ruolo di basilare importanza, come abbiamo visto, il fruitore del bene, ovvero i cittadini. Due, infatti, sono le tematiche fondamentali che il progettista non può esimersi dal considerare se vuole operare in questo ambito: se, da un lato, è necessario stabilire un rapporto tra memorie e paesaggio attuale, dall’altro è fondamentale per la riuscita del progetto di pianificazione paesaggistica che questa operazione venga assimilata anche dai cittadini, beneficiari che devono essere resi consapevoli del già citato uso pubblico della storia, per poter apprezzare la qualità del progetto, a prescindere dalla chiave di lettura che ne suggerisce l’autore, secondo la propria scelta progettuale.

L’interpretazione del patrimonio paesaggistico permette di esercitare il ruolo progettuale dei tecnici, che deve mantenere attiva la memoria e favorire l’identificazione delle tracce lasciate dalla storia con un prototipo noto[22], consentendo di combinare le informazioni dedotte dalla memoria ed elaborare autonomamente un proprio giudizio, evitando che la qualità di un’opera, se anche non la si comprende appieno, rimanga criptica o destinata solo ai pochi specialisti.

Selezionare correttamente significa anche permettere di rileggere la storia attraverso il territorio, percepire la continuità del tempo persino nella discontinuità dello spazio[23]. È virtuosa un’azione che induca i cittadini a riconoscere consapevolmente il senso di appartenere ad un certo passato, confusamente complicato dal sovrapporsi di eventi spontanei e casuali.

Il progetto di recupero, in sostanza, può servirsi degli strumenti del passato per rivolgersi al futuro, coinvolgendo una storia riscoperta ed attualizzata nel presente, che rispetta “simultaneamente il principio di senso per coloro che l’abitano ed il principio di intelligibilità per colui che l’osserva”[24].

Il paesaggio non è più da considerarsi un bene da sfruttare a prezzo di gravi ed, in alcuni casi, irrecuperabili depauperamenti, causati da investimenti affrettati che deprezzano il bene e causano anche danni ingenti in alcuni circostanze; rappresenta, invece, un vero e proprio patrimonio di fattori capaci di produrre una reale moltiplicazione di ricchezza, se valorizzati nel rispetto delle loro peculiarità ed eccellenze, prendendo una posizione in merito al riconoscimento di senso che la nostra società intende operare nei suoi confronti.

Il solo sistema dei vincoli, che costituiscono una tutela passiva, non basta se non unito ad un progetto di cultura globale, che filtri le trasformazioni dell’architettura, della città, del territorio, nell’ambito di una tutela “selettiva e critica”.

BIBLIOGRAFIA

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Augé, Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano 2009.

M. Besse, Vedere la terra. Sei saggi sul paesaggio e la geografia, Mondadori, Milano 2008.

Code d’Enironment, Sez. V, Art. L 350-1.

Convenzione europea del Paesaggio, Firenze, 20 Ottobre 2000.

Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale d’Europa, Berna, 19 Settembre 1979.

Convenzione per la tutela del patrimonio mondiale, culturale e naturale, Parigi, 16 Novembre 1972.

Curzi, Bene culturale e pubblica utilità, Minerva, Bologna 2004.

D’Annunzio, I Pastori, raccolta Alcyone, 1903.

Gallerano, Storia e uso pubblico della storia, F. Angeli, Mlano 1995.

J.W. Goethe, Viaggio in Italia, Trento, 11 Settembre 1786, Mondadori, Milano 2006.

Halbwachs, Les cadres sociaux de la memoire collective, Parigi 1950, traduzione italiana La memoria collettiva, a cura di P. Jedlowski, Unicopli, Milano 1987.

Leopardi, L’Infinito, Recanati 1818-21, in Idilli, Recanati 1826.

Manzoni, I promessi sposi, Milano, 1840.

Politecnico di Torino, Atti Giornate internazionali di studio su storia, analisi e valutazione dei beni architettonici ed ambientali, Politecnico di Torino e Regione autonoma Valle d’Aosta, Aosta 19-20 Giugno1991, Torino CELID 1996.

Ricci, Attorno alla nuda pietra, Donzelli, Roma, 2006.

Tempesta-M. Thiene, Percezione e valore del paesaggio, Franco Angeli, Roma 2006.

DIDASCALIE

00_COPERTINA_Paesaggi pugliesi, nell’atlante del patrimonio ambientale, territoriale e paesaggistico del Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia. (http://paesaggio.regione.puglia.it/images/stories/Documenti_schema_PPTR/schema_pptr_3.2%20descrizioni_strutturali_di_sintesi_parte_b.pdf)

01_Percorso che collega Kumano con il santuario di Ise, in gran parte coperto da strade asfaltate, tranne brevi sezioni come il Magose Pass e il Matsumoto Pass. (www.giapponizzati.com)

02_Sacro Monte di Belmonte (Cuorgnè, TO).

NOTE

[1]. J.W. Goethe, Trento, 11 Settembre 1786.

[2]. Si ricorda, in proposito, la Convenzione europea del Paesaggio, Firenze, 20 Ottobre 2000 ed i precedenti testi giuridici di riferimento; tra i primi e meno noti la Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale d’Europa, Berna, 19 Settembre 1979; Convenzione per la tutela del patrimonio mondiale, culturale e naturale, Parigi, 16 Novembre 1972.

[3]. Alla base della legge francese del 2 Maggio, 1930 o la L.778 del 1922, i cui contenuti vennero

ripresi nella L. 1497 del 1939.

[4]. A tal proposito cfr. R. Gambino, Politecnico di Torino e Regione autonoma Valle d’Aosta, Aosta 19-20 Giugno1991.

[5]. Come sottolineato anche nella definizione di “Paesaggio” dell’Art.1a della Convenzione europea del Paesaggio, Firenze, 20 Ottobre 2000.

[6]. Per maggiori informazioni sul culto dell’albero sacro: http://www.regione.piemonte.it/parchi/junior/art/2008/dwd/belfanti/mito.pdf

[7]. G. D’Annunzio, I Pastori dalla raccolta Alcyone, strofa III, vv. 11-13.

[8]. Inseriti dall’UNESO nel patrimonio dell’umanità dal 2003.

[9]. M. Volpiano, Giornata di studi sul paesaggio, Politecnico di Torino, Torino 22 Giugno 2012.

[10]. O. Soderstrom, Aosta 19-20 Giugno1991.

[11]. A. Sanna, Torino, 22 Giugno 2012, cit. nota 9.

[12]. A. Manzoni, I promessi sposi, 1840-41, cap. VIII.

[13]. J. M. Besse, 2008.

[14]. Come, ad esempio, il Code d’Enironment, Sez. V, Art. L 350-1, o, in Spagna, la Legge del 1991 Areas naturales de Castilla y Leòn, Madrid 1991.

[15]. A. Magnaghi, Torino 22 Giugno 2012.

[16]. Concetto che impedisce la sottrazione di ciò che viene riconosciuto tale alla fruibilità della popolazione.

[17]. M. Halbwachs, 1950, p.28.

[18]. Secondo quanto espresso anche da A. Ricci, 2006, p. 98.

[19]. Si richiama qui il concetto di interpretazione, sempre frutto dell’epoca in cui si vive, che non si può, dunque, mai stabilire in senso assoluto.

[20]. Si è già detto che questa dipende dagli interessi momentanei, che è quindi sempre “storicizzata”.

[21]. Intesa come la tutela volta a mantenere le caratteristiche di un bene mediante azioni: buona progettazione, buona gestione, studio scientifico e, per farlo conoscere meglio, divulgazione delle peculiarità di quel bene, della necessità di tutelarlo.

[22]. Cfr. E. Guidoni, Aosta 19-20 Giugno1991.

[23]. Ad esempio, il cambio della destinazione d’uso di un manufatto o i materiali utilizzati nel suo restauro o sottratti alla struttura, o, ancora, la deviazione di un corso d’acqua, possono suggerire la decadenza di un’area o il cambiamento delle condizioni economiche di una cultura.

[24]. M. Augé, Disneyland e altri nonluoghi, Bollati Boringhieri, 1999, p.53.