Intervista a G. Campos Venuti

Intervista a G. Campos Venuti

La genesi delle periferie bolognesi, il ruolo dei quartieri PEEP e INA-Casa

di Leonardo Tedeschi

Laureato in Architettura, Università di Ferrara

[in copertina Insediamenti PEEP del Fossolo, Bologna, di Leonardo Tedeschi, Fossolo (Bologna), Ottobre 2015]

 

L.T.) Sto lavorando sulla rigenerazione dei quartieri INA-Casa..

G.C.V.) Quartieri INA-Casa…il mio primo lavoro, quando ancora stavo a Roma! E’ stato un piccolissimo quartiere INA-Casa a Catanzaro Marina, non so come è finito adesso…

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L.T.) La domanda iniziale, prima di arrivare ai PEEP è proprio riferita al Piano INA-Casa. Pensa che i quartieri INA-Casa possano essere considerati la matrice della periferia italiana, ovvero uno di quegli elementi che hanno poi innescato l’espansione che conosciamo?

G.C.V.) Non lo penso, è una cosa oggettiva. All’epoca non c’erano piani regolatori e si facevano i quartieri residenziali in periferia, a macchia d’olio; i quartieri INA-Casa sono stati il primo tentativo pubblico di inserire la programmazione edilizia dell’espansione periferica delle città. Tieni presente che ai tempi del primo piano INA-Casa, in Italia c’erano solo cento piani regolatori, quindi non si faceva nessuna programmazione. Purtroppo le aree dei quartieri INA-Casa venivano scelte, più o meno consapevolmente, lontane dalla periferia, in maniera che l’area fra la città esistente e i quartieri INA-Casa – a cui il Comune doveva per forza far arrivare le strade e i servizi – valorizzava tutta la speculazione sulle aree circostanti. Quindi questi quartieri servivano a favorire la speculazione; non consapevolmente, ma di fatto quando si doveva scegliere un’area, il Comune ne sceglieva una che avrebbe favorito qualche speculatore. Questo anche nei comuni di sinistra; io ricordo sempre che l’ultimo quartiere INA-Casa realizzato a Bologna, prima che io arrivassi, era quello delle Due Madonne vicino al “Cimitero dei Polacchi”, al confine orientale del Comune, dove ha valorizzato tutta l’area circostante.

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mappa ina e peep bologna

 

[Gli interventi PEEP (verde chiaro) e INA-Casa (verde scuro) nell’espansione urbana suddivisa per decenni dal 1946. Immagine di Leonardo Tedeschi, Bologna, Novembre 2015]

 

L.T.) Se oggi guardiamo una planimetria di Bologna identifichiamo i quartieri INA-Casa e i quartieri PEEP che lei andò ad inserire, sembra spontaneo pensare che con il suo intervento cercò di regolare quell’area interstiziale altrimenti affidata al caos della speculazione edilizia.

G.C.V.) Io feci votare al Consiglio Comunale su due punti: primo il PEEP deve servire per far crescere la città in maniera programmata, secondo deve essere lo strumento per anticipare la riforma urbanistica proposta dal ministro DC Sullo. Quindi in sostanza si diceva: il quartiere realizzato da Dozza (Due Madonne ndr) era sbagliato, quello che proponevo io (il Fossolo ndr) era il più vicino possibile alla città esistente e quindi era alternativo al modello speculativo di crescita urbana, per cui l’edilizia popolare era spinta alla periferia e l’edilizia privata restava padrona delle zone centrali. E cito sempre la ricerca fatta dall’ americano Allan Jacobs, che andò a visitare la città e disse “it’s an incredibile mixture”- è un casino insomma ! -, perché qui le case popolari stanno al centro e le case di lusso stanno in periferia.

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L.T.) Se oggi, con il senno di poi, dovesse individuare i difetti dei quartieri PEEP da lei pensati cosa indicherebbe?

G.C.V.) C’è una sola critica che io faccio a quella strategia dei PEEP, di cui sono responsabile. La concezione su cui nascevano era quella razionalista che rifiuta la strada corridoio: la “rue corridor” di Le Corbusier. Quindi in tutti in quartieri sono presenti parchi e servizi pubblici, ma si rinuncia all’uso qualitativo della strada. Lo abbiamo scoperto con il tempo: la strada quando era stretta e senza luce, non funzionava. Ma una strada aperta, con la luce, con il verde, con una densità ragionevole, avrebbe dato un risultato positivo, e questo invece non fu fatto. In tutti i quartieri PEEP dei primi venti anni infatti, non c’è mai stata una strada corridoio, che compare dopo, ad esempio in Via Larga, ma quando tutto il disegno originale del PEEP si è perso.

L.T.) Abbiamo parlato della sua battaglia contro la rendita fondiaria, invece per quanto riguarda la “cura del ferro”, sua proposta non ebbe la meglio. Questa avrebbe probabilmente risolto il problema del rapporto fra periferia e centro e fra vari settori della periferia.

G.C.V.) L’affermazione è probabilmente è pleonastica, io ho scritto dappertutto che la mia unica grande sconfitta bolognese è stata il rifiuto del ferro. Abbiamo fatto bene a fare la tangenziale che ha eliminato l’attraversamento della città sui viali di circonvallazione. Io non ho mai posto un rifiuto ideologico alla gomma, ma contemporaneamente avrei voluto che la gomma non fosse usata come alternativa al trasporto pubblico, che a Bologna era pensato solo per autobus e per filobus. Probabilmente, se avessimo dotato la città di un sistema tramviario già da allora, avremmo una doppia offerta di mobilità, quella collettiva che occupa poco spazio rispetto ai viaggiatori serviti e quella individuale che porta pochi utenti e intasa le strade. Questa è una sconfitta vecchia di 50 anni e oggi ancora siamo lì.

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L.T.) Come diceva poco fa, Allan Jacobs ha apprezzato quella mixitè, più di tutti ad apprezzarla sono forse i bolognesi che ci vivono, lei stesso dice che i quartieri PEEP “sono una traccia che si dovrà difendere e valorizzare”. Che cosa intende? Che approccio suggerisce oggi nel 2015?

G.C.V.) I quartieri PEEP rappresentano un settore di città che già allora rispondeva a gran parte delle richieste odierne: una densità ragionevolmente bassa rispetto all’eccessiva densità speculativa, una ricchezza di servizi e una quantità di verde tale da rendere la città sostenibile; allora il termine “sostenibile”non esisteva neppure. E’ quindi la qualità che vorremo riguardasse tutta al città, anzi tutta la città metropolitana, cioè non solo il Comune di Bologna. In questo senso quindi intento “difendere e valorizzare”. Ormai i PEEP non si riconoscono più nella città, ma la loro qualità c’era ed è rimasta, è la stessa qualità che oggi riproponiamo con la riqualificazione; i PEEP erano già una città qualificata.

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L.T.) Direi che abbiamo terminato..

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Video

https://www.youtube.com/watch?v=aRyi5a-lgIc

Bibliografia

P.Di Biagi, 2001, La grande ricostruzione: il piano Ina-Casa e l’Italia degli anni cinquanta, Donzelli, Roma