LA CITTÀ POSTCAPITALISTA?

LA CITTÀ POSTCAPITALISTA?

L’architettura nella città infinita:

Spunti (aperti) di riflessione a partire dalla teoria della città di Massimo Cacciari

di Cosimo Campani

Architetto, Royal College of Art

 

1. La città infinita
La città moderna, secondo Massimo Cacciari, costituisce un radicale superamento delle precedenti forme di organizzazione dello spazio in quanto caratterizzata dall’imposizione di “un ordine a priori, una forma a priori… (poiché) il tempo del rapporto produzione/consumo regola tutti gli altri”(Cacciari 2004, p. 51-59). Si tratta di un (non) luogo che segue un tempo velocissimo, una dimensione in cui tutto cresce e cambia con incredibile rapidità, e questo continuo dilatarsi della “rete nervosa” metropolitana implica l’impossibilità di qualsiasi programmazione (Cacciari 2009, p. 37). Iniziativa incontrollata e capitalismo personale stravolgono infatti in maniera incessante e dirompente il tessuto urbano, costringendo a un radicale ripensamento della sua ontologia (Abruzzese 2004, p. 36). Per Pier Vittorio Aureli, è necessario accettare il “destino” della città capitalista, portandola alle sue conseguenze ultime, ovvero traducendosi “in un’architettura senza forma, astratta, determinata dall’oggettività dei rapporti di produzione, attraversata da una sorta di fredda esaltazione” (Aureli 2016, p. 40).

Come può quindi la pianificazione urbana relazionarsi a una città in continua e rapidissima evoluzione, come possono le tradizionali teorie dell’architettura tentare di applicarsi ad una realtà che appare ingovernabile? E, ancora, può esistere un’architettura politica nella società capitalista?

Si può fare ancora un passo successivo, e chiedere: si realizzerà mai quanto profetizzato mezzo secolo fa da Lewis Mumford, secondo cui “abbiamo avuto la città postfascista e postnazista; abbiamo avuto la città postcomunista. In futuro avremo la città postcapitalista, in cui le esigenze degli uomini prevarranno sulle leggi di mercato”?(Mumford 1961, p. 101) Ne sono convinti teorici come Paul Mason, Naomi Klein, Nick Srnicek e Alex Williams, che ci invitano a prendere sin da ora in considerazione un nuovo paradigma di società – e quindi una ulteriore evoluzione (o forse sarebbe più corretto dire rivoluzione) della città infinita che stravolgerebbe ulteriormente la forma urbis.

 

Phoenix Downtown, vista aerea, 2011 (CC BY-SA 3.0) 

 

2. Alienazione e utopia nell’infinita periferia

Secondo Manfredo Tafuri la città moderna è un luogo di “assoluta alienazione”. Non a caso negli anni 60 e 70 la città è diventata un teatro di forte dibattito critico, dando vita a nuove avanguardie in campo culturale-architettonico, ma anche a “illusioni”(Tafuri 1970, p.241-281). I movimenti radicali hanno dato infatti vita alle cosiddette “utopie” dove “l’ideologia della perfetta de-territorializzazione si accompagna a quello di una forma immediata di comunicazione”(Cacciari 2009, p. 48).

Quasi dieci anni fa Pier Vittorio Aureli e Martino Tattara (Dogma 2008) reinvestono sul progetto architettonico della città dandosi una missione ben definita : stabilire un principio di ordine attraverso il quale si possa inquadrare e costruire nuove forme di abitazione. Secondo i due critici non si deve capire il progetto della città attraverso la progettazione delle sue abitazioni, bensì riflettendo sulla questione che ancora oggi è considerata un tabù: la definizione della forma della città. Stop City, più che un progetto, rappresenta non solo una analisi al problema sull’aspetto morfologico della città, ma anche ma anche nel più ampio concetto formale e politico della forma, cioè il concetto di limite.

In questo contesto, sottolinea Aldo Bonomi, “il punto essenziale però è che nella città infinita cambiano i rapporti fra il centro e la periferia, o meglio, si dissolvono i confini che eravamo abituati a considerare per distinguere il centro dalla periferia” (Bonomi 2004, p.19). Quella descritta è insomma un non-luogo, una “non città”, dove i principali assi di spazializzazione urbana – centro e periferia – non hanno più senso, perché nella città infinita sono infiniti – e “senza una chiusura rigida dei propri confini ma anzi una apertura continua”(Codeluppi & Ferraresi 2004, p.105)- i centri e le periferie. Si perde infatti per sempre l’ambito gerarchico, accentrato e piramidale, della società industriale, e il senso stesso di fissare delle linee di demarcazione (Abruzzese 2004, p. 36). Ed allo stesso tempo diventa incredibilmente urgente l’esigenza di ripensare l’approccio al concetto di periferia per tentare di reagire alla infinita replicazione – su scala sempre più ampia – di un modello fallimentare. A metterci in guardia è di nuovo Cacciari:

“nel 2015 avremo 33 città sopra i 20 milioni di abitanti e 27 di queste saranno nei paesi poveri. Fatte come? Fatte con una vastissima area indifferenziata, in cui avvengono eventi, e periferie degradate, tutte uguali, in cui dappertutto il modello è quello del micro-appartamento per la micro-famiglia occidentale”(Cacciari 2009, p.38).
Quale futuro possiamo provare a immaginare – e progettare – per l’infinita periferia della città infinita?

 

3. Di città senza confini e crisi dei confini della cittadinanza
La possibilità stessa di fissare confini alla città appare oggi inconcepibile. Lo spiega magistralmente Cacciari: “I suoi confini (Ndr: della città) non sono che un mero artificio… si tratta di un “confine” sui generis: esso esiste soltanto per essere superato. Esso è in perenne crisi”(Cacciari 2004, p.52). Una presa di coscienza, questa, che deve essere necessariamente affiancata alla considerazione della più ampia questione della messa in crisi, sempre più evidente, dei confini dello stato-nazione e, parallelamente, del concetto di cittadinanza(Gonzales & Sigona 2017, p.35).

Oggi, mentre la nozione di cittadinanza conosce tale profonda, e forse insanabile, crisi e la sua stessa dimensione giuridica sta assumendo forme di sempre maggiore complessità, diventa infatti cogente interrogarsi sulla capacità delle città e degli spazi urbani di produrre inclusione. Senza poter qui prendere in più attenta considerazione il tanto complesso interrogativo, non ci si può comunque non chiedere: come può la città senza confini, con la sua infinita periferia, essere uno spazio di cittadinanza (intesa come integrazione sociale)?

Si può ri-definire tramite l’architettura una nuova cultura della cittadinanza (Cruz & Forman 2017)?

 

Integrity Server RP7410, Thomas Schanz, 2013 (CC BY-SA 3.0)

 

4. Di architettura politica e postcapitalismo

La natura politica dell’architettura è una questione tuttora (forse più che mai) aperta. L’interrogativo sulla sussistenza o meno per accademici e intellettuali – anche nel campo dell’architettura – di dare carattere politico al proprio lavoro è risalente e rimane controversa. Resta infatti estremamente attuale e controversa la questione posta da Antonio Gramsci: che ruolo deve giocare l’intellettuale-architetto nella dialettica sociale contemporanea, e come ed in che cosa si qualifica il suo operato specifico (Gramsci 1948)?
E resta ancora da sciogliere il paradosso di Pier Vittorio Aureli, secondo cui la domanda sulla possibile natura dell’architettura conosce una doppia e contraddittoria risposta: l’architettura non può essere politica, in quanto teoria e pratica costruita sulla cosiddetta “ideologia del consenso”, e allo stesso tempo l’architettura è sempre politica, in quanto prodotto delle strutture di potere (Aureli 2014).

La questione diventa ancora più urgente quando si prova a traslare questo interrogativo al futuro prossimo immaginato dai già citati Paul Mason, Naomi Klein, Nick Srnicek e Alex Williams. In particolare: qual è il ruolo (politico) dell’architettura in una società unita postcapitalista, caratterizzata dall’automatizzazione del lavoro e l’utopia di un salario uguale per tutti, una società insomma unita intorno a qualcosa di diverso dal lavoro?

 

ILLUSTRAZIONI

Immagine di copertina: La città che sale, Umberto Boccioni, 1910 (dominio pubblico)

Immagine A: Phoenix Downtown, vista aerea, 2011 (CC BY-SA 3.0)

Immagine B: Integrity Server RP7410, Thomas Schanz, 2013 (CC BY-SA 3.0)

 

BIBLIOGRAFIA

  • Cacciari, M. (2004). Nomadi in prigione in Bonomi, A. e Abruzzese, A., a cura di, La città infinita, Paravia Bruno Mondadori Editore, Milano
  • Cacciari, M. (2009). La città, Pazzini Editore, Rimini.
  • Abruzzese, A (2004). L’infinito intrattenimento ovvero al di là della politica, in Bonomi, A. e Abruzzese, A., a cura di, La città infinita, Paravia Bruno Mondadori Editore, Milano .
  • Aureli, P (2016). Politica e architettura dentro e contro il capitalismo, Princeton Architectural Press, New York.
  • Mumford, L. (1961). La città nella storia, Harcourt, San Diego.
  • Mason, P. (2015). Postcapitalism: a guide to our future, Allen Lane, London.
  • Klein, N. (2014). This changes everything: capitalism vs the climate, Simon & Schuster, New York.
  • Srnicek, N. e Williams, A. (2015). Inventing the future: postcapitalism and world without work, Verso Books, London.
  • Tafuri, M. (1970), Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico, Contropiano 2/70, pp. 241–281, Contropiano, Laterza, Roma-Bari.
  • DOGMA, (2008). Stop City.
  • Bonomi, A (2004). La città infinita in Bonomi, A. e Abruzzese, A., a cura di, La città infinita, Paravia Bruno Mondadori Editore, Milano .
  • Codeluppi, V. e Ferraresi, M. (2004) Identità e Noncittà in Bonomi, A. e Abruzzese, A., a cura di, La città infinita, Paravia Bruno Mondadori Editore, Milano.
  • Gonzales, R. e Sigona, N. (2017). Within and Beyond Citizenship, Routledge, London.
  • Cruz, T. e Forman, F. (2017). Can we imagine cross-border cities?, Strelka Magazine, Moscow.