Roma. 3 Questioni
Tre questioni su cui riflettere per riaprire il dibattito e l’agenda di Roma
Responsabile Commissione Urbanistica della Confedilizia di Roma e Lazio
La rigenerazione urbana come pratica rifondativa
Gli elementi di dissesto della città di Roma potrebbero riempire un cahier de doléance potenzialmente infinito, ma la chiave analitica, specie se agganciata ai temi dell’ordinaria amministrazione, come avviene, sempre più spesso, anche per mano dei partiti politici, non da alcuna risposta sostanziale circa le ragioni del dissesto; a meno di non credere che siano proprio i problemi dell’ordinaria amministrazione i veri responsabili della lunga fase di stallo economico, sociale e culturale di Roma, iniziata ben oltre un decennio fa.
Come in tutte le metropoli più avanzate ci sono molte aree di crisi ma limitarci alla sola discussione dei temi dell’ordinaria amministrazione, che anche bisogna sapere affrontare: pulizia delle strade, raccolta dei rifiuti, manutenzione e decoro dello spazio pubblico, sicurezza, vuole dire non riuscire a fare i conti con questioni di prospettiva che riguardano la struttura e il funzionamento della componente contemporanea della città, la sua rigenerazione complessiva.
Un solo dato è forse sufficiente per capire qual è la nuova condizione di Roma. Dei 2,8 milioni di cittadini romani, circa un milione vive nel nocciolo interno, quello che il Piano Regolatore del 2008 definisce come città storica e consolidata, l’altro 1,8 milione ruota attorno al GRA (Grande Raccordo Anulare) e abita in una conurbazione, priva di struttura, che gli stessi estensori del Piano definiscono svantaggiata rispetto al resto della città.
Rimettere in gioco questa parte di città, che è possibile perimetrare con molta semplicità, sulla base della nuova divisione in tessuti del Piano Regolatore 2008[1], è un grande tema economico e politico, viste le quantità in gioco, ed è certamente anche un grande tema architettonico ed urbano, considerata la condizione di modestissima qualità urbana che caratterizza queste parti di città.
Se non si vuole consegnare la componente contemporanea di Roma a un destino di inessenzialità, occorre riflettere, non soltanto sulle questioni di ordinaria amministrazione, ma sopratutto sul progetto di rigenerazione di questa parte così rilevante di città, che abbiamo chiamato Città del Grande Raccordo Anulare[2], dove abita e vive la maggior parte dei cittadini romani.
Della riorganizzazione della città esistente si parla dagli anni ottanta, senza essere riusciti, a fare granché. Le ragioni di questo fallimento sono complesse, ma l’errore più grande, a distanza di tanti anni dall’esordio di quel dibattito, è stato quello di non avere tracciato un quadro ideale chiaro a partire dal quale rilanciare un nuovo progetto per la città contemporanea.
Ancora oggi sembra non essere del tutto condiviso, dagli stessi architetti, che la rigenerazione urbana non è un fatto episodico legato alla riconversione di strutture obsolete o financo d’intere parti di città, ma piuttosto un fatto strutturale, di carattere relazionale, con il quale affrontare il progetto di rifondazione del magma contemporaneo delle nostre città.
La rigenerazione urbana dovrebbe essere una pratica rifondativa a larga scala, dovrebbe contribuire a definire nuovi strumenti urbanistici, di iniziativa pubblica, ancora tutti da calibrare. Gli interventi puntali come la riqualificazione di una piazza o la sostituzione di un comparto edilizio obsoleto con un programma urbano nuovo sono ristrutturazioni edilizie o urbane che possono avere un carattere rigenerativo importante, al pari di operazioni più minute e più diffuse come pavimentare delle strade o realizzare dei marciapiedi ma non sono progetti di rigenerazione urbana. La rigenerazione urbana di cui parliamo è un altra cosa: è contraria agli interventi a pioggia perché si misura con programmi di carattere sistemico e relazionale, che mettono sempre al centro le questioni di struttura e di forma di ampie porzioni di città. È tutt’altro dai programmi di recupero di questo o quel comparto obsoleto; è piuttosto un progetto di riconfigurazione e rifondazione delle nostre città a partire dalla loro struttura e forma urbana.
L’individuazione della forma urbis contemporanea
La forma urbana, per molti anni, non è stata più in agenda, come questione a se stante, enucleabile e circoscrivibile in termini spaziali, figurativi, concettuali e relazionali, come se, l’esplosione della città-territorio e la rottura della tradizionale distinzione tra città e campagna avesse reso il tema figurativamente e spazialmente impalpabile, programmaticamente ineffabile a vantaggio di un termine molto più ambiguo come quello di paesaggio. In realtà la forma urbana è un elemento fondamentale di riconoscibilità e identità dello spazio in cui viviamo e contiene un insieme di elementi e di caratteri decisamente più marcati e più semplici da definire rispetto al paesaggio nel quale convivono, geneticamente, diverse strutture e forme, non solo nel tempo ma anche nella simultaneità dello spazio. La catalogazione dei caratteri di un paesaggio, per esempio, contiene, comunque, una serie importate di omissioni necessarie a renderla spendibile come insieme temporalmente e spazialmente chiuso, con un suo carattere evidente, diversamente da quanto avviene per una forma urbana. L’uso del termine paesaggio, in campo urbano, è una forzatura epistemologica che ha reso più difficile la definizione dei contenuti del progetto di rigenerazione urbana contemporanea in termini rifondativi,mettendo in ombra un concetto chiave come quello di forma urbana.
Quando sosteniamo che c’è la necessità di individuare una struttura e una forma urbana dentro al grande deposito magmatico contemporaneo non intendiamo riferirci a geometrie esplicite (o implicite) che sarebbe inutile ed antistorico proporre ma alla necessità di valorizzare quegli elementi che hanno attraversato il tempo della costruzione urbana rimanendo stabili.
Possiamo dire che la forma urbana è l’insieme delle strutture resistenti della città, quelle che conferiscono all’intera forma urbana e alle sue parti componenti, gli elementi fondamentali di riconoscibilità e di identità nel tempo su cui si fonda la nostra esperienza dello spazio e il nostro sentirci cittadini. Parlare di struttura e di forma della città ha precisamente questo senso: quello di definire la cornice e il sistema degli elementi resistenti della città su cui basare la rigenerazione della componente contemporanea. La forma urbis contemporanea sarà l’esito di un processo di chiarimento e di integrazione della forma del territorio con le strutture urbane Ludovico Quaroni in una delle sue lezioni sostiene che la città contemporanea è un organismo che non si può più disegnare perché il suo territorio non è più circoscritto o circoscrivibile, come nel passato, da segni o strutture in grado di definire una effettiva alterità tra “un dentro” e “un fuori”: lo spazio della città contemporanea è uno spazio che tende all’infinito, che tende a coincidere con tutto il territorio abitato.
Questa narrativa ha perfettamente incrociato la realtà degli anni del boom economico, gli anni sessanta e i più incerti anni ’70, ha retto la crescita disordinata degli anni ’80 e il ripiegamento dei ’90 ma oggi, non è più una narrativa in grado di sostenere la realtà.
La realtà di questo ultimo ventennio è un’altra: si è arrestata la crescita demografica della nostre città, si è praticamente arrestato anche il consumo di suolo (rispetto ai vertiginosi ritmi del passato), o meglio continuiamo a consumarlo perché c’è una strumentazione obsoleta ma tutti sappiamo che consumo di suolo zero non è più uno slogan velleitario, ma una possibilità reale.
Questo consente di tornare a pensare la città come uno spazio circoscritto e concluso, con limiti che è possibile definire: la città contemporanea è un campo grande e complesso ma non infinito, che va riordinato , riorganizzato, rigenerato. Non siamo di fronte ad un territorio tutto in espansione, tutto polarizzato piuttosto siamo di fronte ad un positivo ripiegamento della città su se stessa.
Tornare a pensare la città come un corpo concluso e circoscritto, pur se tentacolare, diffuso, lacerato, e corroso dalla crescita tumultuosa della modernità consente di ri-organizzare ciò che consideriamo città, come una struttura, per la quale un disegno e una forma sono ancora possibili.
La riorganizzazione per microcittà
Il Piano regolatore del 2008 incarna una idea forte di rigenerazione dei tessuti urbani contemporanei, al punto che dentro al Piano, come novità importante c’è l’individuazione dei tessuti da ristrutturare (oggi diremo da rigenerare) i cui perimetri ampliano moltissimo le vecchie zone O, i toponimi, ecc, comprendendo al proprio interno anche la città pubblica.
In una parola il Piano del 2008 riconosce che quello che si è costruito dopo il 1962 indipendentemente dalla sua formazione (legale o pseudo spontanea) deve essere ampiamente riprogettato e indica (molto giustamente) un modello di riorganizzazione multipolare.
In realtà però il modello policentrico proposto dal piano del 2008 risulta privo di uno schema strutturale che indichi con chiarezza i perimetri, i nodi, gli ambiti e gli obiettivi specifici di ogni singolo polo della costruzione metropolitana di Roma.
Quante sono le polarità del policentrismo romano, sono diciotto come le centralità metropolitane? sono in numero infinitamente superiore come sembrerebbero indicare le centralità urbane e locali? Quali sono i loro confini? Quali sono i caratteri e le identità da realizzare?
In che modo contribuiscono a realizzare la più complessa città metropolitana?
Lo studio sulle microcittà di Roma[3] copre proprio questo tassello mancante nella programmazione della città individuando 10 microcittà.
Il riconoscimento delle 10 nuove microcittà di Roma è un passaggio fondamentale per la realizzazione del policentrismo urbano, e può contribuire a restituire una struttura e una forma riconoscibile al corpo sfibrato della città, individuando una “struttura” nel magma urbano attuale, composta da un nucleo centrale e dieci centri urbani satelliti.
L’istituzione delle microcittà contribuirebbe in modo determinante al riequilibrio strutturale del conflitto centro-periferia, favorendo la realizzazione di una costruzione urbana a rete, che moltiplica i centri e riduce marginalità, insicurezza e dispersione ed è funzionale anche al riordino territoriale della città metropolitana.
L’istituzione della città metropolitana deve diventare infatti l’occasione per una diversa formalizzazione territoriale che possa prevedere ed includere il riconoscimento di nuove entità territoriali all’interno del magma pulviscolare e generico del territorio-città.
Queste nuove entità che chiamiamo microcittà, sono le componenti strutturali primarie della riorganizzazione dello spazio pulviscolare del territorio-città della città metropolitana, l’ossatura della sua articolazione policentrica, che passa attraverso il riconoscimento delle comunità urbane esistenti che sono dotate di un comune denominatore: ambientale, topografico, sociale, identitario.
[1]La componentte conteporanea di Roma coincide con i tessuti da ristrutturare e con quelli della trasformazione
[2]M. Pietrolucci, La città del Grande Raccordo Anulare, Gangemi, 2012
[3]M. Pietrolucci, Verso la realizzazione delle microcittà di Roma, Skira, 2017
Bibliografia
Piacentini M. 1924, Lezioni stenografate di edilizia cittadina, Regia Scuola di Architettura di Roma
Piacentini M. 1952, Le vicende edilizie di Roma dal 1870 ad oggi, Palombi, Roma
Pietrolucci M. 2017, Verso la realizzazione delle microcittà di Roma, Skira, Milano
Pietrolucci M. 2012, La città del Grande Raccordo Anulare, Gangemi, Roma
Quaroni L. 1993, Progettare un edificio. Otto lezioni di architettura, Gangemi, Roma
Quilici V. 2007, Roma, Capitale senza centro, Officina,Roma
Sitte C. 1889, Der Städtebau nach seinen künstlerischen Grundsätzen, Wien
Tocci W. 2015, Roma. Non si piange su una città coloniale, Goware, Firenze