The Neighborhood as a Commons
The Neighborhood as a Commons
Opportunità per la governance collaborativa al livello sub-locale nel contesto policentrico e decentrato della Città di Bologna
Laureato in Architettura, Università di Ferrara
E’ ormai riconosciuto che a livello europeo si è intrapreso negli ultimi anni un progressivo ritiro del welfare state con dirette ricadute soprattutto sull’ambiente urbano, mentre sempre di più gli individui si muovono verso le città creando ancora maggior scarto fra bisogni e servizi urbani.
Il differente trattamento delle questioni sociali e la crescente privatizzazione generano da una parte processi di rivendicazione di servizi urbani venuti meno, dall’altra una società sempre più liquida, quindi la crisi e la frammentazione dei tradizioni riferimenti politici (Bauman, 1999). In questo contesto di globalizzazione, dove le nazioni sono sempre più disfunzionali alle identità e le necessità reali dei cittadini, le città diviene sempre più il fulcro della vita politica (Barber, 2013) ed è quindi qui che si aprono opportunità per nuove forme di partecipazione democratica.Orto comunitario in uno spazio rigenerato, Serre dei Giardini Margherita, Bologna 2015
Le contemporanee rivendicazioni di accesso a risorse, servizi e spazi all’interno delle città (piazze, giardini, hub civici, residenze, istituzioni culturali, strade), seguite da azioni concrete di attivazione, si possono leggere come espressione di attori che, non volendo e non potendo più ingaggiare un rapporto con le politics o avendo smesso di esserne fonte di legittimazione, hanno iniziato a occuparsi di policies (Calvaresi, Zanoni, Pacchi, 2015).
L’oggetto di queste rivendicazioni si possono collocare all’interno della cornice dei commons. A riguardo, dopo la definizione degli otto principi progettuali per la loro gestione (Ostrom,1990), si sono susseguiti studi numerosi tali da generare una voluminosa letteratura di riferimento. Fra le diverse tipologie di commons (Hess, 2008) un campo è però rimasto fino ad oggi poco esplorato; quello dei commons nel contesto urbano. Recentemente a riguardo un significativo contributo arriva da Christian Iaione e Sheila Foster, valorizzato dalla sperimentazione nella piattaforma urbana di Bologna sotto il nome di “Collaborare è Bologna”[1].Logo “Collaborare è Bologna”, Bologna 2015
All’interno di questo contesto la città stessa viene considerata un bene comune, intesa come risorsa condivisa in quanto appartenente a tutti gli abitanti. La definizione si allinea con l’idea di “right to the city” (Lefebvre, 1968), nonché il diritto di prendere parte alla creazione della città e ai processi decisionali che riguardano le risorse di personale interesse.
In questa proposta, i diversi fenomeni di rivendicazione, cura e gestione di beni comuni urbani, parallelamente ad altri progetti più tradizionali, si inseriscono in un più ampio ecosistema collaborativo che riconosce il valore di ogni singolo polo e lo mette a sistema con gli altri all’interno del modello di governance urbana collaborativa. Le diverse esperienze così non rappresentano soltanto un nuovo modo d’uso delle risorse urbane, bensì un’innovazione democratica sulla gestione di più ampie questioni urbane.
In questa idea di governance i principi di sussidiarietà orizzontale, collaborazione e policentrismo, vedono gli amministratori locali lontani da una posizione di monopolio nel decision making a favore di una gestione condivisa e collaborativa delle questioni urbane. Gli eletti non sono più semplicemente rappresentanti dei cittadini, bensì coordinatori, enablers e facilitatori di un ecosistema collaborativo diffuso orizzontalmente, nel quale gli attori che hanno un interesse in comune sono parte di un centro autonomo di decision making come co-partners o co-collaboratori (Iaione, Foster, 2015).
Gli urban commons all’interno di una cornice di governance urbana collaborativa possono avere entità e significati differenti che per essere valorizzati e gestiti richiedono un duplice approccio: tematico e territoriale. Per quanto riguarda il secondo risulta interessante considerare la scala del Quartiere.
Attraverso l’osservazione di casi reali di cura e rigenerazione di beni comuni all’interno del modello descritto[2], si contano infatti con maggior frequenza azioni legate a giardini o parchi, opere anti vandalismo grafico, recupero di edifici abbandonati, orticoltura urbana o peri-urbana, creazioni di nuovi servizi di comunità, gestione di aree gioco o piazze, valorizzazione di mercati rionali. A produrre tali pratiche di rivendicazione e riappropriazione sono principalmente gruppi che, se si considera il loro raggio di interesse coincidente con lo spazio definito dalla loro azione e dalle reti di relazioni che intrattengono con altri attori (Calvaresi, Zanoni, Pacchi, 2015), si possono riconoscere territorialmente proprio nella scala del Quartiere.
Poichè il valore del bene comune urbano è risultante dall’attività umana ad esso correlata e direttamente dipendente dall’opportunità delle persone di accedervi e utilizzarlo (Borch, Kornberg, 2015), fare leva sulla scala del Quartiere in questo senso ottimizzerebbe le risorse, grazie alla facilità che attori geograficamente vicini e già legati da interazioni quotidiane hanno nel condividere interessi e capacità.
Il inoltre Quartiere potrebbe rappresentare una dimensione appropriata per sviluppare strumenti che, in dote all’amministrazione coordinatamente ad altre applicazioni già in uso, possono contribuire al funzionamento effettivo della governance urbana collaborativa.
Un’interessante piattaforma di sperimentazione in questo senso può essere proprio Bologna. La Riforma dei Quartieri introdotta nel 2015, alla luce del modello di governance collaborativa formalmente intrapreso dal 2013 con l’approvazione del “Regolamento sulla Collaborazione fra Cittadini e Amministrazione per la Cura e la Rigenerazione dei Beni Comuni Urbani”[4], mira a “riconoscere, favorire e promuovere la partecipazione e il concorso dei cittadini al processo di formazione delle decisioni, alla cura e gestione dei beni comuni, secondo il principio proprio di amministrazione condivisa” per l’appunto all’interno del Quartiere, dove avverrà inoltre anche la discussione del Bilancio Partecipato [5].
La proposta prevede l’istituzione di uno spazio fisico, ma non solo [6] all’interno della quale accompagnare gli attori dal basso nel co-creare una visione urbana sub-locale e nel misurarsi durante il percorso con le costrizioni e gli ostacoli posti dall’esistente cornice istituzionale-legislativa. Questo luogo di confronto può essere inteso come l’occasione per affrontare sul campo la difficoltà delle persone a convertire risorse individuali in funzionamenti collettivi.
Riferimenti già in essere di queste pratiche innovative possono essere i Living Labs[7]. Si tratta di ecosistemi sub-locali nei quali avviene la messa in relazione fra diverse capacità individuali e le risorse materiali e immateriali disponibili sul territorio di interesse.
Il Quartiere si rivela infatti teatro di un alto numero di attività quotidiane di ogni cittadino (oltre ai processi di rivendicazione legati ai beni comuni urbani in sé: residenza, fruizione di giardini, piazze, orti urbani e mercati rionali; attivissimo in associazioni territoriali; istruzione; partecipazione in hub civici ecc.), ognuna di queste nel modello immaginato diverrebbe voce in una più ampia maglia collaborativa. Ogni singolo cittadino quindi, attraverso le attività quotidiane, oltre ad essere maggiormente coinvolto e responsabilizzato nei confronti delle attività stesse, avrebbe modo di poter effettivamente condividere e mettere a sistema le proprie idee e competenze riguardo a temi sui quali ha un interesse diretto, trovando ascolto fra gli altri attori del territorio.
Questo contesto di collaborazione quindi diverrebbe occasione di “capacitazione” dei cittadini di un territorio; un’occasione di ampliamento delle possibilità a disposizione degli individui di fare uso delle dotazioni disponibili. (Cottino, 2006).
L’intento non è limitato alla facilitazione delle relazioni tra individui, si tratta bensì anche di riconoscere e raccogliere nuove emergenti necessità e questioni intorno alle quali co-creare progetti e servizi; costituendo quindi uno strumento progettuale da integrare coordinare a quelli della pianificazione tradizionale.
Note
[1]Approfondimento del percorso: http://www.labgov.it/2015/12/02/collaborare-e-bologna-the-new-way-to-think-of-the-city/
[2] http://comunita.comune.bologna.it/beni-comuni
[3] Testo della Riforma disponibile al link: http://urp.comune.bologna.it/comunica/comstampa.nsf/faa30f1db70ca835412569190058e89b/ff56ef121c6ffef2c1257e8800380aca?OpenDocument
[4] Testo del Regolamento disponibile al link http://www.comune.bologna.it/sites/default/files/documenti/REGOLAMENTO%20BENI%20COMUNI.pdf
[5] Il bilancio partecipato si sta discutendo attualmente in Consiglio Comunale
[6] Un riferimento potrebbe essere http://p2pfoundation.net/Assembly_of_the_Commons
[7] Per maggior informazioni: http://www.openlivinglabs.eu/
Bibliografia
Claudio Calvaresi, Davide Zanoni, Carolina Pacchi, 2015 Innovazione dal Basso e Imprese di Comunità, consultato a Marzo 2016, http://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/item/114-innovazione-dal-basso-imprese-comunita.html.
Benjamin Barber, If Mayors Ruled the World. Dysfunction Nations, Rising Cities, 2013, Yale University Press, Yale.
Christian Borch and Martin Kornberger, Introduction: Urban Commons, 2015, in Urban Commons: Rethinking the City, Routledge, Oxon.
Zygmund Bauman, 1999, In search of Politics, Stanford University Press, Stanford
Ostrom Elinor, 1990, Governing the Commons: The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, Cambridge.
Paolo Cottino, 2006, Capability approach e politiche integrate di quartiere, in Territorio no.43 pp. 65-75.
Henry Lefebvre 1968, Le Droit à la ville, Ed. du Seuil, Paris.