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11. Viaggio all’origine dell’architettura delle immagini

 

di Fulvio Orsenigo

Fotografo di Architettura e Paesaggio

Questa serie di fotografie prende avvio da un’estesa ricognizione dell’archivio e costituisce il tentativo di approfondire un’intuizione nata durante quel lungo lavoro, quando nelle immagini si erano manifestati schemi formali ricorrenti, apparentemente indipendenti dai soggetti, dalle tematiche e dalle scelte progettuali. L’identificazione di questi schemi mi permetteva di suddividere le immagini per affinità di struttura e di collocarle in poche  macrocategorie molto generali, rivelando relazioni spesso oscurate da elementi contingenti che ne orientano il senso. Per comprendere meglio questo strano e quasi magico meccanismo ho messo a punto una macchina espositiva ideale, dove ciascuna macrocategoria veniva rappesentata da una stanza contenente 4 immagini, una per parete, e collegata alle altre stanze da passaggi fisici e visivi. In questo modo è stato possibile osservare i rapporti reciproci e le analogie tra le immagini all’interno di ciascuna stanza e tra le stanze e le immagini nel loro insieme. La scelta delle immagini, guidata dal criterio dell’affinità strutturale, è stata  operata per sottrazione dei contenuti emozionali ed occasionali e delle proiezioni individuali, cioè di quegli aspetti che alimentano la sovrastruttura narrativa, e quindi di senso, di cui le immagini si nutrono. Questa operazione di sottrazione è all’origine delle fotografie di 11, titolo che forse merita una breve spiegazione.

11 è una linea di trasporto urbano molto particolare. Dapprima autobus, poi ferry boat, poi nuovamente autobus e infine, in prossimità di un cimitero, battello. Nel suo viaggio metamorfico l’11 attraversa lingue di terra strette tra mare e laguna, tratti di acque dove le correnti si mescolano, ed è lungo il suo percorso che sono nate le fotografie di questa serie. Il sobrio fascino della grafia di 11, due linee verticali, parallele, due volte 1, delineano una struttura che si adatta perfettamente agli intenti del lavoro, cioè di evidenziare, attraverso un progressivo svuotamento dell’immagine, gli elementi minimi e irriducibili dell’architettura, la struttura di base, spogliata dei motivi funzionali e delle variabili occasionali. I ripari temporanei eretti sulla spiaggia costituivano un caso studio ideale: costruiti con materiali portati dal mare e arredati con i più disparati elementi di recupero essi subiscono, durante i mesi invernali, una progressiva spoliazione degli elementi funzionali e decorativi, che ne mette a nudo la struttura di base.

Tuttavia, tra le maglie rarefatte di quelle condizioni ideali sono emerse relazioni inaspettate tra schemi formali e schemi visivi, che hanno spostato l’attenzione dagli oggetti della rappresentazione alle operazioni fisiche dell’organo biologico, dall’immagine come immagine di qualcosa, all’immagine come manifestazione di quelle operazioni. Indipendenti dai soggetti rappresentati, questi schemi ricorrenti hanno messo in luce le analogia tra regolarità, rilevate nel campo visivo dall’organo sensoriale e “nozioni” della geometria elementare, segnalando che queste “non sono tanto rappresentate nell’oggetto, quanto nell’analizzatore sensoriale che lo percepisce e lo ricompone a partire dai suoi elementi più semplici[1]. In essi si rivelano le limitazioni biologiche imposte alla struttura dell’immagine.

La regressione dell’oggetto a struttura, inizialmente concepita per visualizzare gli elementi di base degli oggetti dell’architettura, rivelava quindi una struttura primaria più profonda, quella dell’organo sensoriale, di cui gli oggetti percepiti rappresentano le qualità emergenti. In questo modo gli elementi discreti percepiti nel campo visivo si manifestano come precondizione delle operazioni di integrazione e completamento in strutture ed oggetti dotati di senso definendo allo stesso tempo quella struttura vincolata che chiamiamo immagine.

11 nasce inseguendo questa regressione: è il tentativo di leggere l’immagine come architettura della struttura primaria, evidenziando le costanti implicite che operano nella relazione tra organo di senso e ambiente, costanti che sono di fatto trasparenti, inglobate e infine incarnate negli oggetti della percezione.

Note

[1]     Jacques Monod, Il Caso e la Necessità (commento agli esperimenti di Hubel e Wiesel)