Bottom-up

Bottom-up

Verso una nuova spontaneità urbana a partire dal modello di Oostewold

di Flavio Martella

Dottorando, dipartimento di Architettura e Urbanistica, Universidad Politecnica de Madrid

In Olanda, come in molti altri stati d’Europa e del mondo, la crisi finanziaria della fine del 2008 e la recessione economica che ne è conseguita, ha avuto enormi effetti nei piani di sviluppo locali. Molte proposte furono posticipate, o anche cancellate, visto il tremendo calo di richieste di nuove case, uffici e negozi. La perdita che ne derivò ha portato gli investitori a ritirarsi dalle partnership pubblico-private, lasciando i governi locali con numerosi terreni non sviluppati, ma con crescenti costi di interesse, e con altrettanto numerosi terreni costruiti intensivamente che difficilmente rispondono alle necessità contemporanee della popolazione. Questo cambio nella domanda ha portato a formulare nuove ipotesi e nuove teorie abitative che possano rispondere più efficacemente alle nuove esigenze. Molte di queste mirano a ricostruire la logora relazione tra popolazione e intorno urbano, ridandole possibilità di scelta e di intervento nel contesto architettonico.

Quindi oggi, un processo sviluppo più organico che si basa sulla teoria delle azioni spontanee sembra essere un approccio alternativo completamente possibile (Feddes, 2008). Una metodologia che non solo abilita un nuovo potenziale da parte di cittadini, ma che presuppone la riformulazione completa dei ruoli architettonici, a partire dalle municipalità. Lo sviluppo urbanistico diventerebbe quindi meno dipendente da una partnership pubblico-privata tra municipalità ed investitori, introducendo nelle relazioni direttamente l’utente finale. Il ruolo delle municipalità è quindi più quello di organizzare e facilitare iniziative private piuttosto che progettare configurazioni spaziali finite.

Il caso di Oostewold, nella città olandese di Almere, è uno dei primi tentativi che tenta di organizzare una città con uno sviluppo organico completamente bottom-up, senza un master plan redatto a priori, ma con una carta di linee guida chiamata “I principi di Almere” e con l’incentivazione de “il diritto a costruire”, introdotto dal parlamento olandese nel 1998 (Feddes, 2008). Il passaggio da una pianificazione rigida ad uno sviluppo spontaneo ha trasformato la città di Almere da una città, come quasi tutte, con un forte carattere top-down senza troppo spazio per le iniziative private, in un posto definito anche dalle stesse azioni private. Il governo, e con lui i suoi progetti, non è più coinvolto in maniera protagonistica, ma rimane comunque l’entità centrale del sistema, costruendo le infrastrutture basiche della città e fornendo le linee guida che possono attivare i piccoli attori privati. L’intento è quello di dare potere d’intervento sulla città alle persone, invece di favorire le corporazioni o i costruttori. Il privato deve solo rispettare le regole riguardanti per esempio l’altezza degli edifici, distanze, performance energetiche e qualità sanitarie e strutturali, mentre è totalmente libero di costruire quello che vuole, come vuole. Quello che ad oggi è emerso da questa politica urbanistica è che si è ristabilita la varietà architettonica tipica delle città stratificate (e spesso associata ad una migliore qualità di vita) e soprattutto, un inaspettato abbassamento dei costi. La crescita che Almere sta avendo dal 2008, anno in cui è entrato in atto il progetto sperimentale è nettamente superiore rispetto a quella avuta nei suoi primi anni di sviluppo intensivo (a partire dal 1976) seguendo un canonico piano di sviluppo urbanistico moderno. Infatti, dalle previsioni ottenute dai primi risultati, si stima che entro il 2030 la città avrà 60.000 nuove case, 100.000 lavori e circa 160.000 nuovi abitanti (MVRDV, 2011).

Almere Oostewold è dunque una porzione della città dove è iniziata una trasformazione agricola-urbanistica su larga scala che verrà creata rispettando la sua impronta storica e le necessità individuali degli investitori. Secondo il direttore dell’area, Esther Geutling, la municipalità volontariamente non ha fornito un master plan, ma ha solamente introdotto alcuni principi e anche alcune inequivocabili regole che favoriscono e tutelano ideali come auto-sostenibilità e auto organizzazione (Cozzolino, 2017). La municipalità da un lato cerca di dare la massima libertà ai piccoli investitori privati, mentre dall’altro cerca di fare un manifesto della nuova utopia agricola per un “landscape produttivo” (MVRDV, 2011). Il governo, in aggiunta alle leggi nazionali promuove alcuni principi per mantenere la struttura della pianificazione quanto più chiara possibile e cerca di “trovare un equilibrio tra la libertà totale e la responsabilità verso gli altri e l’ambiente, sperimentando forme di sviluppo spontaneo”. L’idea di Oostewold è quella che l’intera area verrà sviluppata gradualmente, con un carattere imprevedibile e dal basso: il risultato finale sarà l’aggregazione di tutte le iniziative umane. Una sua peculiarità, che la differenzia anche dalle città del passato lontane dalla concezione moderna dell’urbanistica, è che tutti i partecipanti dovranno provvedere anche alle strutture dell’area, organizzando tutto loro stesso sotto la supervisione della municipalità. Il ruolo del governo è minimizzato al controllo generale e alla promozione delle possibilità ai nuovi investitori, una strategia completamente orientata alla flessibilità e all’utente. La prima grande differenza tra l’approccio scelto per Oostewold e quello tradizionale è la maggiore enfasi sulla domanda invece che sulla fornitura. Nell’approccio globale ed integrato, la pianificazione (e qualche volta anche la costruzione) inizia prima che i compratori e gli inquilini entrino nel quadro generale dell’architettura; sono completamente tagliati fuori e si comprano un prodotto standardizzato progettato a priori. In Oostewold invece chiunque sia interessato a partecipare (singoli, gruppi, costruttori o associazioni) nella città è il benvenuto a farlo, non solo inserendosi, bensì creando il principio della città stessa (Cozzolino, 2017). Sono introdotte solo un limitato numero di regole per organizzare le trasformazioni future, e dare solo una guida sufficiente per le iniziative individuali che passo dopo passo contribuiranno alla trasformazione dell’area. La seconda differenza principale tra i due approcci è direttamente relazionata alla prima. Invece di organizzare, finanziare e regolare lo sviluppo urbano solo a livello del piano di progetto, si cerca di porre l’individuo come fulcro dello sviluppo considerandolo come fondamento attivo della società. Focalizzandosi sulla piccola scala, regolando le piccole azioni invece che direttamente il risultato finale, lo sviluppo diventerà emergente anziché globale.

Nel “piano do Oostewold” non c’è una suddivisione predeterminata del territorio, bensì si cerca di evitare l’insorgenza di conflitti tra le varie iniziative, e si tutelano le relazioni tra le azioni private e gli interessi pubblici. Generalmente riguardano il perimetro dei terreni, la quantità di usi permessi, la proporzione del costruito e la sostenibilità degli interventi. Comunque, il piano generale rimane sufficientemente chiaro e specifico per permettere agli imprenditori di richiedere un permesso di costruire. Dopodiché i progetti sono sviluppati in accordo alle “regole di sviluppo”, e una volta dimostrato che queste vengono rispettate, allora si firma un contratto con la municipalità, con il quale gli imprenditori possono finalmente iniziare a costruire sulla proprietà. La condizione generale per Oostewold è che alla fine dello sviluppo, la suddivisione dei terreni dovrebbe essere: 20% residenziale, negozi, uffici ed edifici di servizio; 6,5% infrastrutture; 20,5% verde pubblico; 2% acqua, 51% terreni agricoli. Una restrizione generale invece è che tutti i terreni di Oostewold sono a disposizione dei piccoli imprenditori privati a eccezione di tre zone specifiche che sono sottoposte a progetti collettivi futuri: un’area (Eemvalley) è destinata alla progettazione paesaggistica, un’area è destinata al passaggio di una futura ferrovia, mentre piccole porzioni disseminate sono indicate come foreste.

Con Oostewold, Almere sta chiaramente promuovendo, in maniera radicale ed estremizzata, la realizzazione di un particolare stile di vita urbano-agricolo basato su un piano di sviluppo urbanistico su vasta scala, su linee guida generali e sull’auto-organizzazione spontanea (RRAAM et al. 2012). Il ruolo dell’architetto in questo sistema viene allontanato da quello dell’eroe intellettuale moderno e post-moderno che da solo è in grado di dare forma al mondo, per re-acquisire un contatto più diretto con le reali necessità della popolazione per la quale progetta, cercando di mediare tra queste e le volontà del governo. Oostewold è un caso estremo che non vuole essere un nuovo dogma architettonico, ma potrebbe semplicemente significare un primo passo per aprire la strada ad una serie di azioni in grado di trasformare e rendere finalmente vivibili ed identitarie le impersonali parti di città contemporanee. Si introducono delle nuove variabili alla ormai abusata teoria urbanistico-architettonica moderna, capaci di caratterizzare le nuove aree con la vitalità e la personalità inseguite dalla maggior parte dei progetti architettonici.

 

Bibliografia

Cozzolino S. 2017, The City as Action. The dialectic between rules and spontaneity. PhD thesis, Politecnico di Milano.

Feddes F., Duijvesteijn A. 2008, The Almere Principles. Bussum, Uitgeverij Thoth.

Ikeda S. 2012, Entrepreneurship in action space, in D. E. Andersson (eds.) The spatial market process, Advances in Austrian Economics, vol.16, pp. 105-134.

Jacobs J. 1961, Death and Life of Great American Cities. New York: Random House.

Municipality of Almere, 2009, Structural Vision, Almere 2.0. Environmental Planning, Almere.

2011, Werkboek, Ontwikkelstrategie Oosterwold, Werkmaatschappij  Oosterwold, Rotterdam.

RRAAM, IAK Almere 2.0 & Werkmaatschappij Almere Oosterwold. 2012, Almere Oosterwold Land-Goed voor Initiatieven.

 

Immagini

copertina: MVRDV, Almere Oostewold Plan, 2011.

fig.1: Blake Wheeler, Suburb, 2018.

fig.2: Paolo Manzo, Le Vele di Scampia, 2019.