Dell’abusivismo
Modi e forme di una prassi diffusa
Recensione di Territori dell’abusivismo: Un progetto per uscire dall’Italia dei condoni a cura di Francesco Curci, Enrico Formato, Federico Zanfi
Dottoranda in “Paesaggi della città contemporanea: politiche, tecniche e studi visuali”
Dipartimento di architettura, Roma Tre
Attraverso un seminario omonimo, nel 2016 la Società Italiana degli Urbanisti ha denunciato la rarefazione del dibattito sull’efficacia dell’apparato disciplinare urbanistico. L’invito a densificare attorno alla cultura del governo urbano le molte derive dell’approccio alla pianificazione è accolto all’interno delle tre sezioni in cui Francesco Curci, Enrico Formato, Federico Zanfi hanno diviso Territori dell’abusivismo: saggi (angolature), casi studio (forme fisiche e sociali del fenomeno), prospettive di lavoro.
Il titolo principale centra la prima operazione spinosa messa in campo: svelare la trama complessa tra forme edilizie abusive e loro esiti, legittimati dai condoni statali. La mancata coerenza della continuità e del metabolismo complessivo degli insediamenti, come tutti i nodi, è più evidente nei luoghi fragili e nel volume la moltiplicazione dei punti di vista ricama una legittimazione della disciplina degli studi urbani raffinata nel riflettere la realtà. Le energie dei curatori si concentrano sulle questioni della qualità che spingono per entrare negli strumenti attuativi dei piani.
L’atlante è costruito su casi dove la diversità (come scomposizione delle differenze) viene individuata nel brulicare batterico delle costruzioni abusive: molti abusivismi, molti territori, molti condoni. Nel paniere dell’eredità questo esercito di oggetti e attori confonde ed è capace di prendere segmenti di mercato, lasciati scoperti da una visione sul capitale sociale, sull’abitare, sulla questione proprietaria nel XXI secolo e sul patrimonio pubblico. Nonostante l’intento di concentrarsi sullo scardinamento dell’abusivismo come motivo retorico e ontologico, la dotazione abitativa abusiva resta dipinta dagli autori come un germe “maligno” che brulica nella forma di corpi sparsi sullo stivale. Lo sterminio si compirebbe nella forbice riuso-riciclo/demolizione di ciò che c’è: operazioni auspicabili ma limitanti il pensiero sull’urbano ad un pensiero oppositivo (essere/non essere).
Chiudere la partita del condono: mi domando se il mirino dei curatori, dichiarato dal sottotitolo, colga la questione sottile che sarebbe stabilire se l’Italia dei condoni sia una delle tante “Italie”immaginabili o se l’Italia chiamata in causa coincida con un soggetto statale malsano. Come costruire un’identità nazionale come somma d’identità locali? A guardarla bene questa domanda, che muove le preoccupazioni della rete di ricercatori chiamati a prendere posizione, è una trappola incagliata in un nodo formatosi all’origine della nostra Costituzione. Il giovane Stato pre-repubblicano opera sul continuum del paesaggio una discretizzazione affinché la tutela e la valorizzazione agiscano sui beni per l’interesse pubblico. Come si accorda la tutela con la pianificazione, costruita su un altro binario, in un’ottica funzionalista? I piani paesistici si occupano della bellezza del territorio (1939) e i piani urbanistici si occupano dell’ordinario del territorio (1942). Tenere la tutela come scena fissa e sfondo della trasformazione mantiene l’idea di una contrapposizione tra urbanizzato ed aree di espansione da una parte (aree A, B e C dei primi piani) e tutto il resto dall’altra: un “non urbanizzabile”. Esiste quindi sulla carta, nel linguaggio e nella realtà una “non città”, un “non paesaggio”, un’area grigiain cui si colloca anche gran parte dell’abusivismo edilizio (come genotipo e come fenotipo)? Gli autori si confrontano con queste periferie del senso?
Sebbene i saggi trattino la questione dell’affiancamento e del supporto dell’amministrazione da parte degli studi urbani (con spinta all’aggiornamento delle risorse conoscitive), gli sforzi si concretizzerebbero soprattutto attraverso la costruzione di modalità e processi di monitoraggio del rischio della perpetuazione del fenomeno. Sono tracciate due linee di ricerca e due registri descrittivi: da una parte si rivede l’abusivismo come genotipo di una serie di fenomeni urbani con proprie forme e rappresentazioni (la sua componente cosmogonica, genius locispecifico con i propri miti, in Italia); dall’altra, l’atlante ed alcuni saggi cercano di definirne il fenotipo, le manifestazioni della “specie edilizia abusiva” più vigorosa per quantità e caratteri (i territori del Meridione). Se l’atlante, modello che per sua natura trascura tratti della fisionomia dell’oggetto fotografato, è coerente come prodotto ideale con questo secondo approccio, il corredo tematico che affianca la mappatura (aprendo e chiudendo questioni) lascia il desiderio di uno sbilanciamento intellettuale, in prospettiva tra studi di settore e politiche. Nel mettere in relazione il campo di pratiche con il campo di idee si compie un’operazione conoscitiva fondamentale ma, dicendo che esula da “un esercizio intellettuale” (Bianchetti), in parte ci si ritira. Come si fa altrimenti un patto sociale? Il merito di denunciare e scomporre a più voci lo sgretolamento del patto viene forse indebolito dal modo in cui si usa la parola “progetto”, sempre in riferimento alla capacità di costruire processi con le amministrazioni e le comunità. Gli urbanisti sono soltanto mediatori tra legittimità in crisi?
Rivelato dal plurale “territori”, emerge il tema dello slittamento della questione “abusivismo edilizio” verso qualcosa che sarebbe ancora difficile chiamare ‘abusivismo urbano’. Locuzione mai pronunciata ma alla quale alludono gli sforzi messi in campo dai quasi quaranta autori. La definizione del fenomeno come “processo articolato e complesso, non una condizione” resta un merito epistemologico che invita a ricostruire un’idea sullo sfondo insediativo sul quale si staglia il fenomeno, in cerca di un quadro che componga l’immagine di un insieme di azioni i cui i codici siano anche una risorsa compositiva e non solo un’arma per arginare il brulicare del nonsenso, di quell’informe capace di dare forma. Sarà importante scoprire il seguito delle iniziative ancora in corso, a partire da quella dal titolo “Il progetto della demolizione nei territori dell’abusivismo. Ricostruire alleanze, valori, paesaggi”, organizzata presso il Politecnico di Milano l’8 febbraio 2019 nel quadro del progetto “Dipartimento d’Eccellenza sulle fragilità territoriali” del DAStU.
Titolo: Territori dell’abusivismo: Un progetto per uscire dall’Italia dei condoni
Autore: a cura di Francesco Curci, Enrico Formato, Federico Zanfi
Editore: Donzelli
Pagine: 380
Prezzo: € 35
Anno di pubblicazione: 2017
Immagini
copertina: Ottavia-Palmarola,Roma,2017.
fig.1: Martina Pietropaoli, Ottavia-Palmarola, Roma,2017.
fig.2: Martina Pietropaoli, Ottavia-Palmarola, Roma,2017.
fig.3: Copertina del libro “Territori dell’abusivismo”.