L’USO DEL GIARDINO STORICO
L’USO DEL GIARDINO STORICO NELLE CITTÀ CONTEMPORANEE Dall’incuria allo sfruttamento
Dottoranda, Dipartimento di Architettura, Roma Tre
Il concetto di tutela dei giardini storici in Italia, formalizzato solo con la Carta di Firenze del 1981 [1], è relativamente recente rispetto ai consolidati principi del restauro dei beni architettonici, pittorici e scultorei; un tema già noto nel dibattito internazionale [2], ma che ancora non aveva raggiunto una matura consapevolezza.
Per molto tempo negli ultimi decenni il giardino o il parco pubblico sono stati spogliati della veste di rappresentanza ed importanza funzionale ed estetica che era stata loro attribuita nel corso della storia [3]; così è stato dimenticato anche il valore della pregevole eredità ricevuta, che, purtroppo, ha vissuto momenti di totale abbandono, situazione in cui versa ancora in molti casi.
Questo atteggiamento ha causato la perdita totale o parziale di numerosi giardini e di parchi storici (pubblici e privati), non solo nel senso di riduzione dell’area dedicata al verde, ma anche nell’accezione di perdita dell’identità dell’ambiente, non più visto come locus amoenus, capace di affascinare lo spettatore, come avveniva nel Rinascimento o nel Barocco, o di catturarlo nell’intimità più profonda e spontanea della natura, secondo la concezione del Romanticismo.
Per molto tempo l’interesse dei cittadini e degli Enti di tutela è stato rivolto più ai monumenti propriamente detti; allo stesso modo nel dibattito accademico questi retaggi di una cultura certamente più attenta all’aspetto naturalistico, sono stati considerati in alcuni casi come patrimonio di secondaria importanza. Laddove acquisiva considerazione il restauro e la manutenzione dei Beni Artistici, Architettonici ed Archeologici, veniva trascurata la necessità di un’adeguata manutenzione degli elementi naturalistici delle città che costituivano essi stessi un’importante fonte di ornamento del tessuto urbano, frutto in molti casi di un profondo studio alle spalle.
Spesso in passato anche il restauro delle ville storiche perdeva di organicità, quando si vedevano rifiorire complessi architettonici nati e pensati in una natura anch’essa disegnata ad hoc, ed immersi dopo il restauro (quando non venivano trascurati del tutto), in anonimi spazi verdi, ben lontani dal risultare “espressione dello stretto rapporto tra civiltà e natura, luogo di piacere, adatto alla meditazione o al sogno” [4], manifestazione del “senso cosmico di un’immagine idealizzata del mondo, un «paradiso» nel senso etimologico del termine, ma che è testimonianza di una cultura, di uno stile, di un’epoca, eventualmente dell’originalità di un creatore” [5].
In alcuni casi i progetti di salvaguardia o cambi di destinazioni d’uso hanno previsto un intervento sulla struttura architettonica, trascurando il giardino circostante, come è avvenuto, ad esempio, per il Castello di Moncalieri, trasformato in caserma nel 1926, ma i cui “connotati naturalistici” [6] sono stati trascurati rispetto alla struttura architettonica [7] (Fig. 01).
Dunque, anche se un dibattito sistematico sul tema della “tutela e valorizzazione dei giardini storici” si è sviluppato, come abbiamo visto, intorno alla metà degli anni settanta [8] ed è stato normato solo negli anni ’80 [9], si può dire che l’interesse sistematico per i giardini e i parchi storici abbia iniziato a farsi strada solo nell’ultimo periodo, sicuramente anche grazie alla Carta di Firenze, con il graduale affermarsi della consapevolezza che i parchi e i giardini sono parte integrante del patrimonio storico–culturale ed ambientale del nostro paese, in posizione intermedia tra artificio e natura, tra ordine geometrico e libertà paesistica; esprimono la cultura e i gusti dell’epoca che li ha generati, i rapporti con i luoghi che li hanno ospitati e i legami con le conoscenze tecniche, botaniche e agronomiche del tempo cui appartengono, che hanno reso possibile la loro concretizzazione.
Ultimamente è stata più volte ribadita, in occasione di convegni nazionali e internazionali, nella letteratura specialistica, attraverso la stampa, l’esigenza di promuovere azioni di tutela, conservazione e corretta gestione, per la sopravvivenza nel tempo di questi beni, caratterizzati più di altri da una particolare deperibilità causata dalla continua evoluzione e dall’invecchiamento della materia vegetale. Tuttavia non basta volgere l’attenzione verso questo patrimonio, per salvaguardarne l’integrità simbolico-rappresentativa; come nel caso del restauro architettonico, infatti, l’analisi storico-bibliografica, iconografica ed archivistica sono passi fondamentali da percorrere prima di agire sul bene.
Il problema della perdita e del degrado che ha interessato tanti dei nostri giardini storici sono da attribuire anche alla scarsa o inadeguata conoscenza di questo singolare patrimonio, indispensabile per una salvaguardia efficiente di ville e giardini.
Nonostante non manchi la volontà di collegare sul piano teorico la tutela dei giardini con quella più generale degli altri “beni culturali”, spesso in passato il personale preposto alla pianificazione, al controllo ed alla gestione del patrimonio storico dei giardini era privo di quelle competenze specifiche (del botanico, dell’architetto del paesaggio, dell’agronomo), riconosciute oggi come indispensabili per assicurare ai giardini storici le necessarie cure ed una corretta amministrazione.
La mancanza della consapevolezza di trovarsi di fronte a creazioni artistiche di tipo assolutamente particolare (per la variabilità stagionale e la mutevolezza nel tempo degli elementi vegetali che li costituiscono, per la molteplicità di elementi scultorei, architettonici, idrici che concorrono alla loro realizzazione del giardino storico), ha portato in passato a stravolgerle completamente.
Certamente la politica urbanistica nata nel dopoguerra e protrattasi sino a qualche decennio fa, volta alla ricostruzione del Paese, ha causato gravi ferite al paesaggio, con la costruzione di nuove aree residenziali ed estese opere pubbliche, assorbendo nelle città in rapida crescita molti giardini cresciuti in aree collinari e costiere, che entravano a far parte della periferia urbana, o lottizzando, e dunque destinando all’edificazione (spesso selvaggia), ampie porzioni di spazi verdi.
In particolare, con l’avvento della zonizzazione e degli standard urbanistici [10] e dunque con l’intento di evitare l’uso indiscriminato del suolo, che consiste nell’individuare e vincolare le parti più idonee del territorio per determinate destinazioni (residenza, industria, commercio, ecc.), la necessità di lasciare aree destinate a parchi e giardini ha spesso favorito lo sfruttamento dei giardini storici, pericolosamente ridotti a semplici zone verdi, per garantire gli adeguati spazi prescritti dai Piani Regolatori; quindi i giardini storici, in questi casi, non vengono più percepiti nella loro autentica qualità artistica e simbolica, nella loro dimensione culturale, ma solo nel senso di verde d’uso, di verde pubblico, accezione estremamente pericolosa per la loro conservazione.
Dunque, il frutto di quella cultura urbanistica figlia del funzionalismo si manifesta negli stravolgimenti che hanno coinvolto diversi parchi storici, modificandone in modo ineluttabile l’aspetto ed il senso simbolico.
Assistiamo ad esempio alla creazione di campi sportivi attrezzati all’interno di questi spazi, come nel caso di Villa Scassi di Sampierdarena a Genova [11], capolavoro di Galeazzo Alessi, oggetto di restauro negli anni ’90-2000, ma la cui area compresa tra via Cantore e la Villa è stata interamente occupata da un campo da tennis (Fig. 02). Un altro caso, rimanendo a Genova, è costituito dalla Villa Piaggio in Corso Firenze, una delle più eleganti architetture neoclassiche genovesi, realizzata intorno al 1830 su disegno di Ippolito Cremona, il cui disegno con struttura a terrazzamenti è stato rovinato dalla presenza di un campetto da gioco, così come il Parco del Castello di Castiglione, deturpato dalla presenza di un campo da calcio, oggi eliminato.
Ulteriore esempio è quello dei Giardini di Piazza Vittorio Emanuele II a Roma [12], parzialmente recuperati dopo l’eliminazione nel 2001 dei banchi del mercato che occupavano i giardini già dalla fine dell’Ottocento, ma senza un effettivo beneficio per il verde storico che li caratterizza, ancora oggetto di interventi negli ultimi anni [13]; le specie vegetali rare ed esotiche, come la Grevillea, il Brachychiton, l’albero della Canfora, la Metasequoia, la Sofora, il Podocarpo sono ormai passati in secondo piano nell’immagine restituita dalla mancanza di manutenzione sistematica e da una serie di utilizzi impropri che tutt’ora li riguardano.
Ancora, a conclusione di questa breve ma non esaustiva panoramica, si può citare l’esperienza del settecentesco Giardino Bellini di Catania (Fig. 03), danneggiato in primo luogo dalla totale assenza di qualsivoglia forma di manutenzione che lo portò, a partire dagli anni’70, ad un progressivo decadimento; gli agenti atmosferici, infatti, rovinarono ampiamente le aiuole in pendenza nella parte meridionale del giardino e le piante mal curate inselvatichirono, peggior sorte toccò a quelle stagionali, che scomparvero del tutto. Stesso destino riguardò gli animali che lentamente si ridussero. Dopo anni di indecisione ed abbandono, durante i quali anche un incendio distrusse totalmente il padiglione cinese posto alla sommità della collinetta nord, con il suo contenuto di libri e documenti e dopo anni di fruibilità ridotta a causa di transenne e ponteggi (che permettevano solamente il transito nel senso della lunghezza nel viale alberato adiacente la Via Sant’Euplio), e poi del tutto negata, il 23 Settembre 2010, dopo un riadattamento, il giardino è stato riaperto al pubblico. Lo splendore dell’antico giardino recuperato con gli ultimi interventi è tuttavia offuscato dalla mancanza delle decorazioni floreali che ne costituivano l’attrazione e dall’assenza dei cigni di un tempo della grande vasca di ingresso, sostituiti da una scultura che rappresenta un gruppo di gru di cui molti hanno sottolineato la mancanza di attinenza col passato, dalla presenza di “piste da ballo” che appaiono come una vuota spianata di cemento, ma anche a causa del sottopassaggio in cemento armato (Fig. 04), più volte soggetto ad episodi di vandalismo, anche in considerazione della scarsa valenza architettonica di quest’opera, non prevista dal progetto originario, in quanto del tutto incompatibile con il disegno del giardino storico ed i conseguenti vincoli monumentali, ma edificata grazie ad una variante [14]. Inoltre il posizionamento dei punti panoramici predilige un lato ormai stravolto dalle nuove edificazioni (di dubbio gusto estetico), frutto di una mentalità che sembra aver dimenticato la grande importanza analizzare i rapporti con l’intorno, spesso gravemente alterati dalla crescita urbana, dall’introduzione nel paesaggio di nuove costruzioni ed infrastrutture e quindi di nuove aperture e nuove visuali rispetto a quelle che avevano caratterizzato la localizzazione dell’opera all’origine.
Dunque, come abbiamo visto, la mancanza di cure nei riguardi del giardino storico non è l’unica minaccia per questa tipologia di patrimonio, avvilito anche da interventi non appropriati, che non permettono di conoscere e valorizzare con informazioni adeguate, attraverso attività che ne mettano in evidenza i pregi e i caratteri, le prospettive e la bellezza, i valori botanici ed architettonici e le peculiarità storiche.
A tal proposito non si può trascurare un ultimo tema, quello dell’uso giardino storico come opera d’arte e non come spazio funzionale alla moderna vita urbana.
Un altro aspetto di rilevante importanza è, infatti, quello che attiene all’uso ed alla gestione del giardino storico, al rapporto che questi beni possono instaurare con la società contemporanea, con la nostra cultura e con le attuali esigenze.
Bisogna, inoltre, sottolineare che molti giardini storici sono nati come parchi privati, annessi a ville, palazzi, castelli o complessi, e che ora sono diventati pubblici, pur non avendo le caratteristiche di spazi adatti all’utilizzo collettivo, e rivestendo un diverso ruolo culturale e sociale nei differenti periodi storici. Gli utilizzi di massa, gli inserimenti di attrezzature di vario genere per il gioco e lo sport entrano in contrasto con la tessitura che caratterizza il complesso del giardino storico e ne compromettono l’unità architettonica e ambientale. Questa tipologia di spazi, infatti, ammette una frequentazione ridotta o comunque calibrata al suo assetto ed alla sua fragilità.
Mi preme pertanto sottolineare la necessità della conoscenza delle specifiche caratteristiche del giardino che, per motivi diversi, da privato diventa pubblico, perché la sua conservazione sia corretta, e non diventi solo un bene di consumo.
In questo particolare caso il restauratore non ha solo il dovere di assumere una consapevolezza piena dell’opera d’arte che si trova di fronte, ma ha anche l’obbligo morale di rivitalizzarla nel rispetto della sua essenza, della sua origine e delle sue particolarità, che non devono essere messe a servizio del bieco sfruttamento da parte della collettività, accostando l’idea di giardino che si aveva nel passato, all’idea di uso, quale siamo soliti concepirla nel presente. Soprattutto quando le ipotesi d’uso sono subordinate ai fruitori, adattando l’opera d’arte alle esigenze contemporanee di speculazione.
“L’unico uso possibile del giardino storico è un uso di tipo storico o, quantomeno, da storici. Nel senso che deve riguardare soltanto coloro i quali siano effettivamente interessati al recupero dei contenuti simbolico–narrativi presenti in queste creazioni. Contenuti che non possono essere «attualizzati», ma che vanno invece mantenuti accuratamente nella loro dimensione storica” [15].
È proprio questo il senso delle precedenti osservazioni; l’uso del giardino storico deve essere controllato e veicolato perché non diventi un abuso. Il fatto che si tratti di spazi aperti non autorizza ad un utilizzo improprio del bene, che deve essere interpretato proprio come avviene per il patrimonio architettonico.
Verificare gli accessi (non relativamente al numero di ingressi che devono essere, anzi, incentivati, ma in riferimento alla qualità ed alla natura delle visite), permette di fornire al pubblico una chiave di lettura, capace di insegnare ad apprezzare e a valorizzare il patrimonio culturale rappresentato dai giardini storici, che dovrebbero essere gestiti in maniera differente rispetto alle “normali” aree destinate al verde, quelle sì oggetto delle già citate norme relative agli standard.
Dunque oltre all’interesse nel riappropriarsi di tali beni, al conseguente studio che ne deriva, alle normativa cogente in materia ed al controllo sulla tipologia degli interventi, è opportuno anche che, una volta recuperato lo splendore di questi paradisi urbani, la manutenzione e l’uso di questi spazi siano controllati da persone competenti, in grado di garantire la continuità nell’educazione all’uso del giardino storico.
Probabilmente, nella società contemporanea ancora i tempi non sono pienamente maturi per osservare il riscontro anche in ambito sociale di quanto prescritto dalle norme ed indicato dalle linee guida suggerite dalla Carta per la salvaguardia dei giardini storici, anche se la sensibilità dei cittadini e degli specialisti del settore, oltre a quella degli Enti di Tutela, sembra essere volta ad un atteggiamento virtuoso nei confronti di questa ricchezza che è stata per lungo tempo stravolta proprio a causa della sua accessibilità che, purtroppo, in alcuni casi ne ha sancito la condanna alla totale devastazione.
Non rimane, quindi, che augurarsi l’arrivo di tempi più floridi da un punto di vista economico, capaci di permettere la realizzazione dei costosi interventi di manutenzione, come quello previsto fra 2017 e 2018 per i giardini reali di Piazza S. Marco a Venezia o quelli appena conclusi nei giardini della Reggia di Caserta; e, soprattutto, una piena e consapevole presa di coscienza che, quando si parla di giardini storici, ci si trova di fronte ad una risorsa storico-culturale, e non solo naturale.
Note
[1] Riunito a Firenze il 21 maggio 1981, il Comitato internazionale dei giardini storici ICOMOS-IFLA ha deciso di elaborare una carta relativa alla salvaguardia dei giardini storici che porterà il nome della città ospitante. Questa carta è stata redatta dal Comitato e registrata il 15 dicembre 1981 dall’ICOMOS con l’intento di completare la “Carta di Venezia” in questo particolare ambito.
[2] A partire, ad esempio, dalla Legge 1089 del 1939, atta alla salvaguardia de “le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico, compresi […] le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico e storico”; per seguire col convegno sulla “tutela e valorizzazione delle ville e giardini italiani”, organizzato nel 1959 dalla sezione lombarda di Italia Nostra; la relazione della Commissione Franceschini “per la salvezza dei beni culturali in Italia”, del 1967, dove è chiarita la definizione di “bene ambientale” ma i giardini sono appena citati; a seguire, il primo convegno organizzato a Fontainebleau dal Comitato Internazionale dei Giardini e Siti Storici, costituito dall’ICOMOS-IFLA nel 1971; nel 1975, a Zeist in Olanda, si riunisce nuovamente il Comitato Internazionale per i Giardini Storici, sottolineando il concetto del restauro conservativo e del rispetto del palinsesto, cioè del mantenimento delle specie esistenti, immesse nel tempo e perciò storicizzate.
[3] Basti pensare all’importanza del ruolo dei giardini nel disegno urbano sia pubblico che privato nell’Antichità, fino ad arrivare all’importanza del parco pubblico ribadita dagli urbanisti ottocenteschi, che avevano progettato ad hoc aree dedicate al verde, attribuendo loro la stessa importanza delle aree edificate.
[4] Carta di Firenze per la salvaguardia dei giardini storici, Comitato Internazionale dei Giardini e dei Siti Storici ICOMOS-IFLA, Firenze 1981, Art. 5.
[5] Ibidem.
[6] P. Cornaglia, 2000.
[7] Il giardino con parterre all’Italiana non era stato recuperato interamente perché occupato dal poligono di tiro dei Carabinieri; il ninfeo, invece, è stato restaurato a cura della Soprintendenza per i Beni Architettonici ed Ambientali del Piemonte (M. De Vecchi, F. Mazzino 2002). A seguito dell’incendio che colpì il torrione sudest nel 2008 il Castello è attualmente in restauro a cura della Soprintendenza per i Beni Architettonici ed Ambientali del Piemonte.
[8] Cfr. nota 2.
[9] Fatta eccezione per la già citata Legge 1089 del 1939 (crf. nota 2).
[10] In Italia la legge urbanistica (Legge 17 agosto 1942 n. 1150) introduce il termine di “zona”, anticipando la Legge del 6 agosto 1967 n. 765 che istituisce “le zone territoriali omogenee”(Art. 17).
L’attività di zonizzazione si attua mediante l’identificazione delle cosiddette Z.T.O. (Zone territoriali omogenee), introdotte per la prima volta dall’art. 2 del decreto interministeriale 10 aprile 1968 n. 1444, insieme al concetto di standard, che valutava in 18 m2/ab la quantità minima di spazi pubblici suddivisi in: 9 m2/ab di “verde regolato”, 2,5 m2/ab di “parcheggi”, 4,5 m2/ab per l’istruzione e 2 m2/ab per “attrezzature di interesse comune”.
[11] Sui terreni del parco retrostante la Villa Imperiale Scassi venne edificato agli inizi del XX secolo l’Ospedale”Villa Scassi”, oggi il terzo nosocomio della città di Genova.
[12] Dal 2006 intitolati all’agente Nicola Calipari, agente segreto italiano ucciso da soldati statunitensi in Iraq, il 4 marzo 2005, nelle fasi immediatamente successive alla liberazione della giornalista de Il Manifesto, Giuliana Sgrena.
[13] Per maggiori dettagli sull’ultimo intervento pianificato si fa riferimento al sito istituzionale: https://www.comune.roma.it/pcr/it/newsview.page?contentId=NEW848304 e al testo di M. Galeazzi, Il giardino Bellini di Catania. Progetto restauro cantiere, Bonanno, Roma 2010.
[14] La polemica riguardante gli ultimi restauri del giardino è ancora accesa, come si evince dai quotidiani su web e dalla stampa locale: il sottopassaggio “ha stravolto la collina sud deturpandone forse per sempre la peculiare immagine storica e architettonica. Per non parlare di quella ragnatela infinita di tubi neri per annaffiare lasciati a vista e che fanno rabbrividire ogni cittadino che ha un minimo senso dell’estetica e un ricordo ancora lucido dei meravigliosi mosaici botanici della Villa”, (Per maggiori approfondimenti: http://www.lasiciliaweb.it/articolo/101659/sicilia/bianco-salvi-la-villa-bellini).
[15] S. Fera, intervento in occasione del convegno La camelia e il giardino, in Europa, in Liguria e a Genova, Genova, 1998.