Il Social Housing a Torino

Il Social Housing a Torino

Il Social Housing come strumento di sviluppo economico e sociale: l’esempio di una residenza di Social Housing nel centro di Torino

di  Marco Della Rocca

Dottorando presso il Dipartimento di Storia, Architettura e Design del Politecnico di Torino.

Ai giorni d’oggi le città sono in continua trasformazione e “il controllo dello spazio urbano è più difficile”. Il cambio di utenza di alcuni quartieri delle principali città italiane ha fatto sì che sorgessero problemi d’integrazione con la popolazione autoctona. Il quartiere di San Salvario a Torino, “luogo di convivenze di religioni”, prossimo alla stazione ferroviaria, è esemplare per questa problematica (Fabris 2015, p. 260). Il progetto di un edificio adibito a Social Housing in questo quartiere ha l’obiettivo di ricucire “con il tessuto urbano circostante”, di rilanciare lo sviluppo economico e sociale e di integrare gli:

“abitanti con realtà territoriali epocali diverse e con finalità insediative disuguali. […] L’integrazione tra il costruito, gli spazi liberi e gli abitanti, lentamente ma costantemente e progressivamente deve segnare la metamorfosi della trasformazione urbana”.

Il criterio basilare dell’intervento deve essere la costituzione di “un sistema organico” che connetti “la qualità” dell’edificato “esistente con la nuova progettazione”, non più incentrata solo su azioni mirate sull’arredo urbano e sul sistema viario. Il progettista deve intervenire su tutto il tessuto urbano esistente, riprogettando i pieni e i vuoti, con un’attenzione particolare alle “attività socio-economiche”. Gli spazi vuoti devono essere il volano degli interventi e dovranno rispondere ai nuovi bisogni della società per aumentare “la qualità del paesaggio urbano”. Il Social Housing nasce “come forma peculiare e autonoma d’intervento” per far fronte ad uno specifico “fabbisogno abitativo introducendo aspetti innovativi sulla sostenibilità ambientale” e sulla diminuzione della dispersione sociale nelle città metropolitane. (Capriolo 2015, pp. 264-269).

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Il progetto di Social Housing nel quartiere multietnico di San Salvario è stato realizzato dallo studio De Ferrari Architetti. L’intervento ha interessato un antico edificio, sito nel tratto pedonalizzato di via San Pio V, proprio di fronte alla sinagoga. Il complesso edilizio è d’interesse storico-architettonico e fu costruito nel corso del XIX secolo per “aggregazioni e modifiche successive”, commissionato da “Suor Maria Clarac dell’Istituto delle suore di S. Maria” (Premio IQU 9, Torino: Social Housing San Pio V 2014). L’edificio è caratterizzato da un fronte principale arretrato rispetto a via Pio V e da un cortile interno. Il progetto ha previsto una ristrutturazione del nucleo storico dell’edificio di metà Ottocento, conservando dove possibile, tutti gli elementi costruttivi di pregio, (per esempio la cancellata in ferro battuto che delimita il cortile d’ingresso all’edificio). Dove ciò non è stato possibile, si è proceduto alla ricostruzione utilizzando materiali compatibili qualitativamente e per provenienza. Qualsiasi opera di recupero intrapresa, tuttavia, ha dovuto rispondere alle nuove destinazioni d’uso dell’immobile e perciò ha dovuto tenere conto dell’ineludibile adeguamento degli impianti, affinché essa possa essere utilizzata dalle nuove utenze (Carbonara 1997). Nell’immobile, infatti, sono state previste le seguenti destinazioni d’uso: un asilo infantile al piano terra, una cappella, una residenza per le suore dell’istituto di Santa Maria, una residenza temporanea della Compagnia di San Paolo, un bar, e alcuni spazi adibiti ad uso comune. Gli alloggi per la residenza temporanea sono 27, di cui 16 monolocali, 6 bilocali e 5 trilocali (Premio IQU 9, Torino: Social Housing San Pio V 2014). L’intervento di restauro ha dovuto rispondere ai criteri di riconoscibilità e reversibilità (Brandi 1977). Perciò nel rifacimento del tetto si è proceduto con la sostituzione delle travi lignee deteriorate e con l’apertura di nuovi abbaini. I nuovi abbaini donano grande luminosità agli alloggi dell’ultimo piano e si “configurano come segno architettonico riconoscibile e contemporaneo, ma rispettoso dell’esistente” (Premio IQU 9, Torino: Social Housing San Pio V 2014). Il progetto del moderno, infatti, deve rispondere al principio di “verificare l’adeguatezza della struttura progettata, piuttosto che quello di progettare una struttura adeguata” (Giuffrè 1995). Nel progetto di Social Housing la copertura del 50% dei consumi di ACS dovrà essere costituita da fonti rinnovabili, così come quella dei consumi annuali globali per riscaldamento, ACS e raffrescamento[1].

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La residenza Social Housing è caratterizzata da alcuni spazi aperti alla cittadinanza, dove periodicamente sono allestite mostre o sono tenute conferenze. Questi spazi formano il nuovo spazio pubblico contemporaneo, “lontano” dalle “forme nelle quali era riconosciuto, ipotizzato e progettato, in modo definito e stabile, nella città moderna” (Bianchetti 2008, p. 75). Oggi può essere “riduttivo” classificare come spazi pubblici solo piazze e strade, ma possono esseri intesi come tali tutti quei luoghi che rimandano “alla loro disponibilità ad essere frequentati da qualcuno” e al loro carattere di “socializzazione” (Bianchetti 2008, p. 76). Il Social Housing è una pratica per riattivare la partecipazione di quella fetta di popolazione che si sente esclusa dalla vita della società contemporanea. Lefebvre (2014, p. 99) userebbe il termine autogestione per indicare una partecipazione reale e attiva, più che il termine partecipazione, in quanto con tale termine si sottenderebbe quella pratica che tende ad ottenere al minor prezzo possibile l’acquiescenza delle persone interessate. La residenza temporanea realizzata a San Salvario si rivolge a quei “soggetti in condizioni di fragilità socio-economica”, come per esempio giovani coppie, ragazze madri e immigrati. Inoltre possono usufruire del servizio di ospitalità temporanea anche studenti non residenti a Torino, lavoratori in trasferta e turisti. La struttura di Social Housing, infatti, vuole essere “uno spazio residenziale dove la transitorietà non è precarietà, emergenza, assenza di significato, ma piuttosto possibilità ed opportunità di costruzione di un percorso umano individuale e collettivo”.

Bibliografia

Bianchetti C. 2008, Urbanistica e Sfera pubblica,Donzelli, Roma.

Brandi C. 1977, Teoria del restauro ,Einaudi, Torino.

Capriolo F. 2015, “Ricucire il tessuto urbano soddisfacendo il bisogno di casa. Il Social Housing a Torino”, in Marmori A., Puccini L., Scandellari V., Van Riel S., (a cura di), Architettura e Città Problemi di conservazione e valorizzazione, Altralinea, Firenze, pp. 263-270.

Carbonara G. 1997, Restauro architettonico , Utet, Torino.

Fabris N. 2015, “Lo spazio urbano e i suoi abitanti” in Marmori A., Puccini L., Scandellari V., Van Riel S., (a cura di), Architettura e Città Problemi di conservazione e valorizzazione, Altralinea, Firenze, pp. 257-262.

Giuffrè A. 1995, Lettura sulla meccanica delle storiche, Kappa, Roma.

Lefebvre H. 2014, Il diritto alla città, ombre corte, Verona.

Premio IQU 9, Torino: Social Housing San Pio 2014, consultato a maggio 2017, http://www.architetti.com/premio-iqu-9-torino-social-housing-san-pio-v.html.

Note

[1] Regolamento igienico-sanitario della città di Torino

Immagini

Figura di Copertina: Social housing a Torino. In situ

Figura 1: La sinagoga nel quartiere di San Salvario. In situ.

Figura 2: Prospetto principale su via San Pio V, dopo l’intervento di ristrutturazione. In situ.