Roma. Una visione territoriale

Roma. Una visione territoriale

Piacentini e la visione geografico territoriale del piano regolatore di Roma

di Marco Pietrolucci

Responsabile Commissione Urbanistica della Confedilizia di Roma e Lazio

Se osserviamo la città di Roma nel disegno generale del Piano del 1931, essa appare come un blocco compatto, di forma pressoché circolare: tutti i nuovi quartieri modernihanno uno sviluppo radiale di circa due km, a partire dal perimetro della mura aureliane, raggiungendo i cinque complessivi dal miliario aureo e sono agganciati, gli uni agli altri, con poche soluzioni di continuità, intorno alla figura dell’Aquila Imperiale[1].

La città moderna include ma non ingloba del tutto quella storica perché Piacentini ha una fondamentale intuizione[2]: lascia libera dall’edificazione una vasta area a Sud-Est della città, che coincide, grossomodo, con la scia lavica, geologicamente molto rilevante, che scende dal Vulcano Albano[3]verso la città di Roma, su cui, già in epoca repubblicana, è stata tracciata la regina viarum[4], la via Appia.

Questo cuneosi insinua nella città, fino a comprendere il suo cuore più antico, che oggi chiamiamo area archeologica centrale,disegnando, per la prima volta, una zona di tutela archeologica, di proporzioni territoriali, di grandissimo valore simbolico[5], che è certamente da considerare tra le innovazioni più importanti del Piano del 1931, di cui Piacentini è ben cosciente. Nella relazione[6], infatti, scrive: si è ampiamente provveduto alla creazione di nuovi Parchi: uno comprendente tutta la vasta zona tra via Ardeatina e Via Appia Nuova, (…) meraviglioso cuneo verde che dalle campagne del Sud giunge fino ai piedi del Campidoglio. La zona archeologica viene così definitivamente completata (…) [7]”.

Basterebbe questa sola indicazione programmatica, con la quale si riconosce che la forma urbis modernadi Roma non può contenere tutto lo spazio e la magnificenza della scrittura di Roma antica, per sostenere chela visione piacentiniana della città è una visione territoriale, tutt’altro che accademica e chiusa, come è stato scritto e sostenuto dalla critica ideologica degli anni sessanta[8].

Nel definire questo grande cuneo verde, Piacentini, prende atto che non tutto può essere riscritto dalla modernitàe imprime alla forma urbis moderna di Roma quel carattere instabile ed aperto che deriva dalla forza oppositiva dello spazio, come di cavità attiva e dirompente, ugualmente potente rispetto alla massae al pieno,nella storia della città.

Si tratta di una innovazione di lettura e di progetto della città formidabile[9]che consente di rappresentare, per la prima volta, in modo sintetico la storia antica della città: attraverso un segno potente, che non è di rinuncia, ne di lacerazione piuttosto è segno geografico che apre al territorio la forma di Roma, proprio nel punto della sua storica comunicazione con l’Oriente e il Mediterraneo. In realtà è l’intera struttura del Piano, a dispetto della figurazione chiusa del corpo edificato, ad esprimere una visione geografica, aperta all’intersezione e all’innovazione del territorio.

Un secondo esempio di quanto sosteniamo può essere ricavato dalla descrizione della configurazione dei parchi e dei giardini di Roma moderna, che lo stesso Piacentini compie, con semplicità[10]:  parchi diventeranno anche tutti i Forti. Catene di giardini ad Est saranno costituite dalle linee degli acquedotti. Questi parchi si sommano a quelli già esistenti del gruppo di Villa Borghese, Pincio, Villa Giulia, Villa Strohl Fern e Villa Glori; del gruppo del Gianicolo e di Villa Wurst, al quale potrebbero un giorno congiungersi le Ville Pamphili e Abameleck; del gruppo di Monte Mario e della Farnesina.Tali giardini saranno tra loro allacciati da ampi viali alberati, in modo da creare un vasto anello verde (…). Nei più vasti di essi si sono disposti campi sportivi, prati di giuochi per i bambini, piste per cavalli, etc. Ancora s’è pensato, per non incorrere in troppo forti spese di impianto e di manutenzione dei prati e dei boschi, alla creazione di grandi orti-giardini, che costituiscano sane zone di interruzione dei fabbricati, e possano, nello stesso tempo, meglio alimentare la cittadinanza con i prodotti della terra…”[11]

Come si può notare, non si tratta della descrizione di un insieme puntuale di spazi verdi, ad integrazione ed abbellimentodelle nuove espansioni moderne della città ma di un vero e proprio sistema geografico, orientato a integrare, in un unica figura, le diverse componenti del sistema ambientale, in modo da creare un vasto anello verde, utile a definire, diremmo oggi, delle continuità ambientali, visive e d’uso tra questi spazi.

La scrittura minuta del piano regolatore non consente di visualizzare con facilità questo passaggio, perciò abbiamo ritenuto utile estrapolare, in una cartografia separata, la sola componente ambientale. Il risultato è piuttosto stupefacente: non solo viene perfettamente definito un anello verde intorno alla città, ma il collegamento tra i diversi parchi realizza, nello spazio interno della città, quella dialettica tra pieni e vuoti che rende la figura complessiva di Roma così incredibilmente unica, perchè solo a Roma, dopo l’esperienza barocca, il vuoto ha lo stesso peso del pieno.

Piacentini ritornerà su questo tema molti anni dopo, nel 1952, quando scriverà Le vicende edilizie di Roma, una riflessione sullo sviluppo moderno della città, orientata a costruire una traiettoria positiva della trasformazione di Roma Moderna, secondo una narrativa ampiamente condivisibile, che viceversa è stata tragicamente soppiantata, appena un decennio dopo, nel 1962, da quella pessimistica e senza speranzedi Insolera e Cederna, dentro alle cui nebbie siamo tutt’ora immersi[12].

La quantità di giardino per abitante, scrive Piacentini, era allora (prima del 1931) prossima ai 10 mq per abitante, cifra soddisfacente, in realtà. Queste zone verdi erano in gran parte private e scarsamente utilizzate dal punto di vista sociale. Mancavano e mancano ancora campi da gioco, campi di sport, spazi per bambini. La commissione cercò di stabilire, in periferia, e quindi nel corpo della città futura, dei sistemi di parchi collegati tra loro, isolati dalle correnti di traffico. Fu prevista innanzitutto la mirabile sistemazione del cuneo di verdura della zona archeologica che penetra al suo vertice nel cuore della città e ha per asse l’Appia Antica. Questo Parco comprende la valle della Caffarella fino all’Appia Pignatelli, gli antichi Forti con i loro boschi di eucalipti, i campi da golf dell’Acqua Santa e il nuovo Parco della via Latina. Anche i tracciati degli antichi acquedotti, ad oriente, erano previsti come giardini. Un grande sistema di Parchi fu previsto fra Monte Mario e il Gianicolo, dalla via Cassia a Monteverde, questo sistema, a cui potrebbe unirsi Villa Pamphili, costituisce una passeggiata ininterrotta con panorami sulla città. A sud est si trovano i parchi di Tor Pignattara, Tor de Schiavi, di Pietralata. A nord troviamo i parchi del Monte Sacro, di Casal dei Pazzi, di Villa Glori dell’Acqua Acetosa e le ville dei quartieri Nomentano e Salario. Inoltre il mirabile Parco di Castel Fusano ad Ostia. Una novità introdotta fu quella degli orti giardino, cioè zone semi agricole analoghe a quelle usate in Germania e che contribuiscono al rifornimento della città, rappresentando al contempo una riserva per i futuri parchi.

Un terzo importante elemento della costruzione geografica territoriale di Roma moderna  riguarda l’attenzione e lo sforzo profuso per coordinare l’espansione della città con l’infrastruttura ferroviaria. Lo studio della rete del Ferro, afferma Piacentini nel 1931, era indispensabile che precedesse lo studio stesso del Piano Regolatore, soprattutto per la parte relativa all’espansione dell’aggregato urbano, nelle zone di ampliamento (…)” [13] Si tratta di un programma intelligente e lungimirante, che, se fosse stato approvato, avrebbe certamente permesso uno sviluppo più ordinato delle relazioni territoriali, fra Roma e il suo hinterland nonché un rapporto più organico tra espansione edilizia e mobilità pubblica. Alla base di queste progettate relazioni c’è una visione geografica- territoriale chiarissima: da una parte c’è Roma, concepita come un corpo urbano formalmente concluso, definito da un perimetro anulare, oltre il quale si trovano i territori agricoli periurbani, dall’altro un insieme di sistemi urbani minori, agganciati tra loro e connessi alla città-madre attraverso le ferrovie.

Le parole di Piacentini sono chiare: s’è delineato un programma generale, degli allacciamenti della Metropoli con i centri satelliti, con previsioni di ritocchi o trasformazioni delle vie ferroviarie e con la creazione di un’altra autostrada (per i castelli). I Castelli saranno allacciati tra loro, e con Tivoli e con il Mare; inoltre una larga strada lungo il litorale andrà da Nettuno a Civitavecchia passando per Ostia, qui sorgerà il nuovo porto di Roma che sarà congiunto direttamente con il quartiere industriale di San Paolo[14].

L’integrazione funzionale tra Roma, i centri urbani satelliti dei Castelli e alcune polarità del territorio, come Civitavecchia e il nuovo porto di Roma ad Ostia, viene inserita, per la prima volta, all’interno di un Piano Regolatore della città, nel 1931, sulla base di studi preliminari precedenti, mai approvati, ampiamente descritti da Vieri Quilici[15], di cui, quello più chiaro era stato redatto dallo stesso Piacentini, capogruppo dei GUR[16], nel 1929, in occasione del primo congresso dell’International Federation for housing and town planning svoltosi a Roma. Il fatto che il progetto di infrastrutturazione ferroviaria regionale ed urbana su cui si basava l’impostazione territoriale del Piano del 1931 sia stata stralciata dal Ministero dei Lavori pubblici, all’atto della approvazione del Piano, non costituisce motivo per non riconoscere che il Piano possedesse un modello di visione geografico- territoriale dello sviluppo di Roma. Il modello territoriale piacentiniano è chiaro: Roma rimane il principale polo della regione[17], ed è progettata come un corpo urbano concluso, con limiti figurativi e fisici definiti da una strada anulare di bordo. Oltre il corpo edilizio di Roma c’è una vasta area agricola periurbana con caratteri diversificati e una densità edilizia che deve rimanere di tipo agricolo. Sul limitare di questa area, che ha forma di anfiteatro aperto verso la linea di costa, vengono individuati alcuni centri urbani satelliti, comeTivoli ed il grappolo di villaggi dei Colli Albani[18], che unendosi ed integrandosi tra loro possono accrescere le capacità attrattive di tipo residenziale ed industriale. Il principio urbano-territoriale è mantenere i centri satellitiseparati dal corpo urbano di Roma attraverso l’uso agricolo del grande desertodella campagna romana.

 Lungo la linea di costa è la direttrice Nettuno-Ostia Civitavecchia a definire la direzione di sviluppo, con Ostia immaginata come grande città-porto di Roma e nodo di interscambio tra la città, il mare e il sistema urbano secondario. Tutti i centri satelliti sono connessi alla città-madreattraverso un potenziamento della viabilità esistente e la realizzazione di nuove linee ferroviarie. Si tratta di un progetto che risponde perfettamente alla forma tridimensionale del territorio e al modo in cui Piacentini immagina e progetta la città: come un punto vivo della Terra ma limitato e racchiuso rispetto ad uno spazio più grande, ad un territorio che non è solo città. Laddove fosse stato definitivamente approvato e sistematicamente eseguito; se questa direzione culturale non fosse stata apertamente combattuta e pubblicamente sconfessata dall’urbanistica successiva, avrebbe permesso ben altra conservazione e valorizzazione del territorio romano e dello spazio che abitiamo.

Le relazioni territoriali tra il corpo di Roma, il Piano per i Castelli e lo sviluppo verso il mare, testimoniano come la ricerca apparentemente conservatrice di Piacentini, finalizzata a conferire una struttura e una forma conclusa alla città di Roma, proprio mentre tutto il movimento moderno professava la rottura delle relazioni tradizionali città-campagna[19], non fosse affatto conflittuale con una visione territoriale dello sviluppo, per nodi e polarità. Quello che colpisce, in fondo, è la visione transcalare del Piano: il Piano Regolatore, in questa fase di genesi dell’urbanistica moderna, è un progetto che riguarda tanto il corpo della città che il territorio esterno, tanto lo spazio edificato che i sistemi infrastrutturali di connessione, tanto i giardini di quartiere che i grandi sistemi ambientali; in una parola, si tratta di uno strumento di controllo e di indirizzo che integra le diverse scale del progetto ed è per questo innovativo ed attualissimo. La definizione funzionale di alcune parti costitutive della città, per esempio il quartiere industriale di San Paolo, è coordinata allo sviluppo di polarità esterne come il porto di Ostia; i centri satelliti sono allacciati a Roma e tra di loro a formare una unità di maggiore intensità funzionale e il loro reciproco rapporto ha ricadute concrete sulla localizzazione dei servizi, innanzitutto quelli per la mobilità; tutta l’organizzazione regionale è regolata da un principio di integrazione tra il corpo di Roma e le formazioni urbane minori che esprime una visione integrata e policentrica dello spazio regionale. Questa impostazione[20]avrebbe contribuito ad un diverso sviluppo del territorio romano, preservando la campagna romana dalla crescita dei centri urbani minori; specializzando i diversi quartieri di Roma in funzione di relazioni territoriali che avrebbero contribuito a preservare le differenze identitarie locali, dalla omologazione di una crescita priva di una effettiva regolazione.

La visione geografica-territoriale di Piacentini agisce a tutte le scale, da quella regionale a quella urbana, senza alcuna soluzione di continuità: è un principio progettuale che sembra avere poco a che fare con tecniche specialistiche, in quegli anni ancora in formazione, e molto con un’idea della città come spazio confinato, in relazione con gli elementi più vasti della terra. La rottura della forma urbis moderna e la sua integrazione con la storia e il territorio; la visione sistemicadel verde urbano; l’organizzazione policentrica dello spazio regionale, sono tre temi di uno stesso disegno, rispetto ai quali ancora ci interroghiamo, in un mare, però, di sigle e di strumenti inutilmente complessi.

 

Note

[1]In verità, alla figura dell’Aquila Imperiale, definita dal perimetro delle mura aureliane, il Piano del 1931 unisce, per la prima volta, l’espansione di Prati di Castello e l’area di Villa Borghese, acquistata dallo Stato nel 1901 per farne il primo parco pubblico di Roma. Nel disegno generale di Piano Regolatore, il centro storico della città, l’espansione di Prati di Castello e Villa Borghese sono trattati con la stessa grafia, a significare che la città storica e la prima espansione moderna sono un unico organismo, che ha travalicato le mura aureliane, definendo un embrione della nuova forma della città moderna.

[2]Piacentini intuisce l’importanza territoriale e simbolica di lasciare aperta al territorio la forma di Roma, proprio nel punto della sua storica comunicazione con l’Oriente e il Mediterraneo, una decisione importante che incide sulla forma urbis moderna, di cui era stata attribuita erroneamente la paternità al Piano del 1962.

[3]Il Vulcano Laziale, detto anche Vulcano Albano, coincide con la struttura geologica dei Colli Albanie con l’attuale paesaggio del territorio dei Castelli Romani. Questo grande vulcanocominciò ad accumulare i prodotti delle sue prime attività su un basamento più antico di sedimenti marini di rocce carbonaticheche formavano un’ampia pianura tra la costa ed i Monti Appennini. Si stima che abbia eruttato circa 297 km3di materiale vulcanico. Gli ultimi studi di Funiciello et al., 2002 sull’attività recente del cratere del Lago Albano, confermano che manifestazioni vulcaniche eruttive si sono verificate fino a circa 5000 anni fa, con esondazioni del lagoe catastrofici Laharfino alla soglia del IV secolo a.C.

[4]In considerazione dell’epoca in cui fu realizzata (fine IV – III sec. a.C.), è considerata una delle più grandi opere di ingegneria del mondo antico per l’enorme impatto economico, militare e culturale che essa ha avuto sulla società romana.

[5]La forma urbis moderna riconosce di non potere contenere del tutto la grandezza di Roma antica e lascia aperto e privo di edificazione un grande settore urbano che arriva fino al cuore della città, comprendendo il Palatiume l’area dei Fori, a significare che c’è uno spazio di Roma antica, che non può essere riscritto dalla modernità.

[6]Si tratta della relazione di accompagno al Piano Regolatore

[7]M. Piacentini,  Relazione al Piano Regolatore del 1931, pag 18.

[8]Mi riferisco a I. Insolera, e A. Cederna, vedi bibliografia

[9]I piani regolatori della prima modernità romana (1870-1883-1909-1931) sono stati accusati, dalla critica ideologica degli anni sessanta, di essere strumenti di mera espansione edilizia, privi di contenuti strategici e programmatici in grado di definire una traiettoria chiara dello sviluppo urbano. Le argomentazioni contenute in questo articolo, nel ripercorrere le principali scelte urbanistico-territoriali del Piano del 1931 intende confutare la nota tesi che riguarda in particolare l’inconsistenza di visione e di sostanza urbana del piano piacentini (1931).

[10]idem, pag 18

[11]idem pag 19.

[12]Quando Insolera scrive nel 1962 il suo fortunatissimo libro su Roma Modernadoveva avere ben presente quello scritto da Marcello Piacentini circa 10 anni prima, eppure la sua riflessione non ne tiene minimamente conto. Non esisteva infatti uno studio organico sul complesso delle trasformazioni avvenute dopo il 1870 a Roma, eccezion fatta per lo studio sulle Vicende edilizie di Romaredatto dall’architetto Marcello Piacentini nel 1952. E’ Marcello Piacentini il primo a guardare, con sguardo organico, alla evoluzione della città di Roma. Esistevano atti parlamentari, voti e leggi, atti del Consiglio Comunale, memorie, relazioni riguardanti singoli progetti limitati ad un quartiere, ad una via, ad un problema urbanistico ma nulla che avesse un criterio di sintesi riassuntiva in grado di indicare la direzione nella quale la città stava procedendo. Il compito di Piacentini è quindi non solo quello di riassumere le principali vicende urbanistiche della città  ma sopratutto quello di indicare le linee di sviluppo moderno, l’ evoluzione di Roma, in Capitale di un nuovo Stato, cercando criticamente di indicare se l’insieme delle trasformazioni anche puntuali e/o parzialmente incoerenti (e come potrebbe essere altrimenti per una grande città) nel complesso avessero raggiunto gli obiettivi: della modernizzazione da una parte ma anche della salvaguardia delle bellezze della città. La storia moderna della città descritta da Marcello Piacentini è la storia di una evoluzione positiva che ci sembra molto più aderente alla realtà dei fatti. Piacentini attraversa la storia di Roma da architetto, da costruttore e non da critico: conosce, per averne esperienza diretta, le ambizioni politiche, gli interessi privati, le difficoltà burocratiche, le passioni civili che rendono tutte le vicende urbanistiche e in particolare quelle di Roma di una complessitàe di un interesse appassionante. Ha uno sguardo limpido sulla città,non è un libro politico o autobiografico, scritto per magnificare il suo Piano Regolatore (1931) all’epoca ancora operante.Il libro è testimonianza viva del suo amore per la città.

[13]Relazione generale al Piano regolatore di Roma, pag.15

[14]Relazione generale al Piano regolatore di Roma

[15]Vedi bibliografia

[16]Gruppo urbanisti Romani. Del GUR facevano parte gli allievi di Piacentini:  Piccinato, Cancellotti, Nicolosi.  vedi V. Quilici (a cura di), E42, EUR un centro per la metropoli, Olmo edizioni, 1996; i progetti più interessanti furono  presentati nel 1929 al Congresso della International Federation for housing and town planning

[17]Con questo termine si indicava, nel dibattito tra gli anni venti e trenta, l’area di polarizzazione del territorio dovuta alla presenza di Roma,  quella che oggi definiamo, sempre con qualche difficoltà, area metropolitana. Vedi M. Pietrolucci, La metropoli come insieme complesso di città. Osservazioni preliminari per la governance delle aree metropolitane, Urbanistica Informazioni, Marzo Aprile, 2017.

[18]Albano, Ariccia, Castel Gandolfo, Colonna, Frascati, Genzano, Grottaferrata, Lanuvio, Marino, Nemi, Rocca di Papa e Rocca Priora

[19]Le Corbusier, ville contemporaine, 1922; Plan Voisine, 1925; Piano Obus per Algeri, 1930

[20]L’impostazione policentrica di Piacentini, la sua idea che Roma e i centri satelliti dovessero essere separati da un territorio agricolo “vergine” è stata ripresa dal Piano Provinciale di Roma di Nucci, nel 2008, ancora oggi l’unico strumento attivo di regolazione dell’area metropolitana di Roma. L’idea è ancora buona e ampiamente condivisibile.

 

Bibliografia

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Quilici V.1996, L’E42 tra città e territorio, una ricostruzione senza pregiudizi, in Quilici V. (a cura di), E42 Un centro per la metropoli, pp.11-34, Olmo edizioni, Roma

Quilici V. 2010, “Policentrismo piacentiniano”,  Rassegna di Architetttura ed Urbanistica, n.130-131, pp.51-55.

 

Immagini

copertina: Lettura del piano regolatore del 1931 per tipologie edilizie, rielaborazione a cura di Pietrolucci Studio Associato.

fig. 1: Il Policentrismo piacentiniano nell’articolazione geografico- territoriale della città. La città alta, borghese, rielaborazione a cura di Pietrolucci Studio Associato.

fig. 2: La città bassa dei Fiumi (Tevere e Aniene) e dei Fossi (ferrovia) destinata ad una espansione produttiva, rielaborazione a cura di Pietrolucci Studio Associato.

fig. 3: La città dei pianori e dell’espansione intensiva, rielaborazione a cura di Pietrolucci Studio Associato.